C’era una volta la “nudge unit” di David Cameron, formata da “quelli intelligenti” per usare le parole del premier inglese. Era il 2010 e la teoria mezza economica e mezza psicologica del “comportamentalismo” stava vivendo la sua stagione più florida – complice un altro appassionato, quel Barack Obama che ancora viveva di un credito illimitato da parte di tutti i popoli della terra.
I comportamentalisti più in voga erano Cass Sunstein e Richard Thaler, autori nel 2009 di “Nudge” (1), e ovviamente Daniel Kahneman, premio Nobel e massimo esponente della teoria, che sarebbe poi stata esposta in “Thinking, Fast and Slow” del 2011 (“Pensieri lenti e veloci” nell’edizione italiana (2)). Il comportamentalismo nasce nell’ambito dell’advertising degli anni Sessanta, à la “Mad Men” per intenderci, perché si fonda su un principio cardine: bisogna far sì che la gente faccia la cosa giusta, dove per cosa giusta ci può essere l’acquisto di una lavatrice o, per i governi, l’acquisto di una polizza assicurativa. E’ un po’ quel che, con toni ed esempi più pop, sostengono gli autori di “Frekonomics”, Steven Levitt e Stephen Dubner. I quali sono stati invitati a parlare con Cameron a un incontro della “nudge unit” e sono riusciti a far disamorare per sempre il premier: perché gli hanno fatto degli esempi, tipo quello sul sistema sanitario che a Cameron non riesce di riformare, e pur non avendo troppi diagrammi cartesiani, anche il comportamentalismo sa essere impopolare.
Oggi la “nudge unit” non dipende più dal governo, è stata mezza appaltata fuori, a testimonianza del disinteresse del premier. E così ci si è chiesti: non è che il comportamentalismo è sopravvalutato?
Tim Adams ha provato a dare una risposta sull’Observer (3) in un colloquio con Gerd Gigerenzer, uno psicologo tedesco che è anche il più grande critico del comportamentalismo (Kahneman lo cita apertamente come “persistent critic” nel suo libro). Gigerenzer sostiene che l’approccio dei comportamentalisti sia umiliante: cioè loro pensano che la gente è scema. Nel suo libro uscito ad aprile, “Risk Savvy” (4), lo studioso tedesco dimostra che in realtà gli uomini non sono stupidi, sono soltanto poco educati alla “letteratura del rischio”. Cioè non ci sono modelli che possono prevenire le decisioni delle persone, e basare le reazioni sulla probabilità si rivela spesso fallace. Ogni decisione è piuttosto un mix di istinto e di quel che Gigerenzer chiama “euristica”, le regole che s’imparano ogni giorno.
Convincere il mondo che il calcolo delle probabilità non è esaustivo non è un compito semplice, visto che su questo metodo si basa praticamente tutto, non solo l’economia, ma anche la medicina. La certezza insomma è un’illusione, bisogna conoscere le probabilità ma non delegare loro tutte le decisioni, soprattutto “il nudging non può essere una filosofia per gestire un paese”, perché significa trattare i cittadini come interlocutori deboli. L’euristica fornisce soluzioni migliori, anche nella vita quotidiana: non comprare mai prodotti finanziari che non comprendi, o non studiare tutto il menu nei dettagli, piuttosto chiedi al cameriere che cosa prenderebbe lui se fosse un avventore di quel ristorante. Rischioso anche questo, come si sa. Ma educare i cittadini a prendere decisioni sagge – dal punto di vista del rischio – è secondo Gigerenzer meglio che convincerli a fare quel che si ritiene arbitrariamente giusto. Da che parte stare? Let’s make a decision.
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