La borsa statunitense era salita dall'inizio di quest'anno fino a metà giugno. Poi – sull'onda dell'incertezza che si era creata a partire dalle dichiarazioni del governatore della Banca Centrale Ben Bernanke, che, in primo momento, sembravano presagire una politica monetaria meno espansiva – era flessa. Appena dopo – sull'onda sempre delle dichiarazioni del governatore che, in un secondo momento, sembravano presagire la continuazione della politica monetaria espansiva – è rimbalzata. Infine, con l'uscita dei risultati del secondo trimestre, ha incominciato a muoversi in su e in giù senza intraprendere una direzione chiara. Da agosto essa si muove “lateralmente”, ma con dei segnali di “cedimento”.

Per provare a capire che cosa sta succedendo proponiamo una lunga analisi. Partiamo dall'Asset Allocation di luglio (1): "Prima di una gara un atleta smette di allenarsi – l'espressione inglese è tapering. Quando Ben Bernanke – il governatore della Banca Centrale degli Stati Uniti - in giugno parlò di tapering, i mercati tosto si innervosirono. Ben Bernanke si riferiva alla fine degli acquisti di titoli di stato - il Quantitative Easing - da parte della Banca Centrale. Meno acquisti – con il miglioramento degli andamenti economici - nel 2013 e – se e solo se - l'economia si fosse stabilmente ripresa – nessun acquisto nel 2014. Non aveva fatto cenno a una politica monetaria restrittiva – il tightening, lo stringere la cinghia: belt-tightening – quando da un lato si hanno dei tassi di interesse maggiori praticati dalla Banca Centrale per finanziare le banche si credito ordinario, e dell'altro la vendita delle obbligazioni che la Banca Centrale aveva comprato nel corso del tempo. Dunque Ben Bernanke aveva in mente l'atleta che smette di allenarsi, non la cinghia più stretta. Dopo qualche giorno altri esponenti della Banca Centrale statunitense si pronunciarono spiegando che non si trattava di stringere la cinghia, ma semmai di smettere di allenarsi, e i mercati smisero di temere il peggio. Poi arrivarono le dichiarazioni della Banca Centrale d'Inghilterra e della Banca Centrale Europea, tutte nella direzione delle politiche monetarie ultra lasche. I mercati delle obbligazioni smisero di flettere e quelli delle azioni tornarono a salire. Sembra dalle ultime vicende che nei mercati finanziari prevalga questa relazione: Economia Debole = Politica Monetaria Lasca = Mercati obbligazionari Tonici e azionari in Ascesa, che si contrappone all'altra relazione: Economia Forte = Politica Monetaria Restrittiva = Mercati obbligazionari Deboli e azionari (forse) in Ascesa. Dunque tanto più floscia è la ripresa dell'economia reale, tanto maggiore è la stabilità dei mercati finanziari. E questo non è un qualche cosa di “irrazionale”. I prezzi delle obbligazioni del Tesoro sono, infatti, talmente alti (i rendimenti talmente bassi) che si ha una spinta a comprare tutto quel che rende di più. Se le obbligazioni del Tesoro avessero dei prezzi più bassi (dei rendimenti più alti) per il venir meno degli acquisti delle Banche Centrali, allora verrebbe meno la spinta a comprare tutto quello che rende di più. Se il rendimento del Bond statunitense andasse al cinque per cento – il suo rendimento storico - dal 2,5 per cento dove si trova, nessuno comprerebbe un'obbligazione ad alto rischio che rende il cinque per cento. Questa “razionalità” dovrebbe far meditare. Il mandato della Banca Centrale degli Stati Uniti è, infatti, quello di favorire il massimo della crescita dell'economia reale compatibile con un'inflazione sotto controllo, non è quello di rassicurare i mercati finanziari. E - forse - siamo giunti alla spiegazione dell'accaduto. Possibile che Bernanke possa aver involontariamente prodotto tanta confusione? No, ha piuttosto voluto iniettare timore nei mercati, perché smettessero di costruire troppe posizioni a leva (= acquisti finanziati arbitrando la differenza fra il rendimento dell'attività comprata e il costo del suo finanziamento) che, alla fine, si rivelano troppo rischiose, quando la politica monetaria smette di essere ultra espansiva. Bernanke, infatti, ha dichiarato: I think not speaking about these issues would have risked a dislocation; it would have risked increase build-up of risky, leveraged positions in the market. Se il ragionamento esposto tiene, allora i mercati, appreso il messaggio che li incentiva alla prudenza, dovrebbero pian piano formare dei rendimenti delle obbligazioni più alti, forse dei prezzi delle azioni più alti, ma in un contesto di forte volatilità, e smettere di comprare le attività rischiose – come le obbligazioni private ad alto rischio, e quelle dei Paesi Emergenti – come se fossero ad alta qualità".

Oggigiorno i prezzi delle obbligazioni sono più bassi (i rendimenti sono più alti) di un mese fa, mentre i prezzi delle azioni, come dicevamo all'inizio, si muovono “lateralmente”, mostrando però dei segni di “cedimento”. Sul fronte degli utili societari i risultati non sono eclatanti, la loro crescita dipende, infatti, dagli andamenti delle imprese finanziarie, mentre negli altri comparti la variazione è modesta (2). Sul fronte degli andamenti obbligazionari, la pressione delle vendite incomincia a sentirsi, con le vendite da parte dell'estero che sono diventate cospicue (3). E la correzione dei prezzi delle obbligazioni è stata molto forte, simile a quella che si è avuta nel 1994 e nel 2003 (4).

Il meccanismo dovrebbe essere questo: se l'attesa dei mercati è quella della fine degli acquisti di titoli del Tesoro da parte della Banca Centrale – il tapering, ecco che si suppone che, venendo meno gli acquisti di parte pubblica, la parte privata potrà essere “attirata” solo da dei rendimenti maggiori di quelli correnti (5). Abbiamo perciò dei rendimenti che salgono (e dunque le obbligazioni rendono di più), mentre gli utili non sono propulsivi. Le borse salgono stabilmente quando i rendimenti sono stabili o in diminuzione e gli utili sono tonici (6). Quel che oggi non sta accadendo.

E l'Italia? Se non si fa nulla, si scivola lentamente lungo un piano inclinato, con il rischio si una accelerazione che porti a una caduta. Questa sembra essere oggi la situazione italiana. Un combinato di un gran debito pubblico e di una crescita che nel prossimo futuro sarà comunque modesta.

L'agire economico è frenato dal contesto politico. Ma di quale agire si tratta? Il rilancio economico – secondo l'opinione dell'industria finanziaria e della maggioranza degli economisti - passa attraverso la liberalizzazione del mercato dei prodotti e del lavoro, con la riduzione contestuale della spesa pubblica e delle imposte, mentre la maggioranza dei politici pensa a un rilancio trainato dalla spesa pubblica in deficit.

Il debito pubblico è stato frenato nella sua crescita dal disavanzo primario – le spese delle stato sono inferiori alle entrate per una quarantina di miliardi di euro per cui cui si ha un avanzo che però copre solo una parte dell'onere da interessi sul debito, che ammonta a una ottantina di miliardi. Perciò la parte residua - di quaranta miliardi circa - è finanziata con l'emissione di nuovo debito pubblico. E' stata perciò frenata la crescita del debito pubblico, ma, poiché l'economia per ora flette, e poi, se crescerà, lo farà in maniera stentata, esso non è ancora sotto controllo.

Un debito che non sia sotto controllo richiede dei rendimenti molto elevati per essere sottoscritto, ossia dei rendimenti che coprano il rischio di parziale insolvenza – il rischio dell'allungamento “autoritario” delle scadenze del debito per tenerlo sotto controllo alle aste. I maggiori rendimenti che coprono dal rischio di insolvenza intanto premono sul bilancio dello stato sotto forma di accresciuti oneri da interessi, i quali, per essere pagati, alimentano lo scontro politico nel campo intricato della combinazione minori uscite e maggiori uscite, proprio come ai tempi della crisi del 2011.

Nonostante non sia ancora sotto controllo, i mercati chiedono un rendimento simile a quello che si formava prima della crisi del 2011. Parte per effetto di una fiducia accordata pro tempore, parte per effetto dell'agire della Banca Centrale Europea, che ha promesso di fare tutto il necessario per arginare una eventuale crisi. Siano in una situazione di “sospensione”, ma la “resa dei conti” prima o poi arriverà.

Lo scenario auspicabile della “resa dei conti” è così articolato: 1) si gode di questa “sospensione”, che assomiglia all'esercito russo – il governo italiano -, che si ritira per sfuggire all'invasore – ossia la richiesta di un ancor maggiore premio per il rischio; 2) all'improvviso ecco che arriva il Generale Inverno, vale a dire sono varate in anticipo dal Governo italiano le riforme volute dai mercati e dagli economisti. Lo scenario probabile è eguale nel primo punto a quello precedente, ma differisce nel secondo: 2 bis) il Governo vara le riforme sotto la pressione dei mercati. Lo scenario peggiore varia sempre nel secondo punto: 2 tris) le riforme sono attuate male e in ritardo e intanto si è alzato in modo preoccupante il “premio per il rischio”.

Non sapendo ancora che cosa accadrà, si deve poter “parcheggiare” la ricchezza nel caso dello scenario peggiore, ossia, in termini tecnici, è razionale poter avere una notevole “preferenza per la liquidità”. La liquidità ai tempi della Lira era pericolosa, perché, con una crisi, questa era svalutata. Con l'euro questo non può accadere. Assumendo – come è ragionevole - che l'euro resti la moneta dell'Italia, si ha il vantaggio, in caso di crisi, di poter “parcheggiare” la ricchezza fuori dai mercati - depositi bancari, pronti conto termine, BOT trimestrali - per il tempo necessario alla formazione di un livello dei prezzi adeguato alla situazione data.

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(1) http://www.centroeinaudi.it/lettera-economica/articoli-lettera-economica/asset-allocation/3527-asset-allocation-luglio-2013.html

(2) http://www.ft.com/intl/cms/s/0/f4e3feb4-038b-11e3-b871-00144feab7de.html#axzz2c3MHBezr

(3) http://www.zerohedge.com/sites/default/files/images/user5/imageroot/2013/08/China%20Japan%20TSY%20Holdings.jpg

(4) http://libertystreeteconomics.newyorkfed.org/2013/08/the-recent-bond-market-selloff-in-historical-perspective.html

(5) http://www.zerohedge.com/news/2013-08-15/why-taper-matters-one-simple-chart

(6) http://blogs.ft.com/ft-long-short/2013/08/13/the-cape-of-less-hope/