Il mese scorso l’Asset Allocation era stata pubblicata appena dopo l’uccisione di uno dei maggiori leader iraniani. La tesi era che “la vicenda non dovrebbe dar luogo ad una guerra tradizionale, ma a una guerra di rappresaglie. Potrebbe però emergere un accordo, dal momento che una guerra non dovrebbe avere sbocchi (1)”. Questo mese non abbiamo la vicenda iraniana ma il coronavirus sorto in Cina. Non fosse per questo, ribadiremmo quanto detto un mese fa (2).

1 - L’Asset allocation

Un’opzione nuova - se osservata con gli occhi degli ultimi decenni, ma vecchia - se osservata con gli occhi dei decenni precedenti, è il ritorno della politica fiscale attiva, ossia di una combinazione di spesa e di entrate pubbliche più vivace. La spesa pubblica attiva può, sotto certe condizioni, essere una necessità, ma è anche un’opzione molto concreta sia per il potere politico sia per la cittadinanza “messa peggio.” Da qui la sua persistenza nel dibattito economico e politico e il suo ritorno appena le condizioni la possono legittimare.

Negli ultimi mesi del 2019 abbiamo registrato la riemersione dell’opzione della spesa pubblica vivace: a) in Italia - come l’idea della ripresa degli investimenti in infrastrutture e come riesumazione dell’Iri, b) in Gran Bretagna - come spesa sociale aggiuntiva da erogare dove i conservatori hanno vinto nelle aree laburiste, c) nell’Unione Europea con la proposta di un robusto piano di investimenti eco-sensibili, e persino d) in Germania, che gode dal Dopoguerra che gode della fama di non voler usare il bilancio pubblico in deficit.

Si ha chi pensa che la spesa pubblica in deficit potrebbe funzionare dal momento che i tassi di interesse dovrebbero restare molto schiacciati per il prossimo futuro. Insomma, si potrebbe - secondo questa linea di pensiero - procedere con una espansione fiscale non “tarpata” da degli oneri finanziari eccessivi.

I mercati delle obbligazioni sono anormalmente cari (i rendimenti reali sono nulli o negativi), mentre il mercato delle azioni è guidato dal rendimento alternativo anomalo (quello delle obbligazioni). Perciò, nonostante gli utili piatti, si ha una spinta rialzista dovuta al fattore di sconto (3).

1 - https://www.centroeinaudi.it/lettera-economica/articoli-lettera-economica/asset-allocation/5285-stati-uniti-e-iran.html

2 - https://www.centroeinaudi.it/lettera-economica/articoli-lettera-economica/asset-allocation/5286-asset-allocation-il-2020.html

3 - https://www.centroeinaudi.it/lettera-economica/articoli-lettera-economica/asset-allocation/5299-la-compressione-del-fattore-di-sconto.html

 

2 - Il casus belli

Quando i mercati delle azioni non solo sono cari ma mostrano anche delle modeste prospettive di diventare meno cari per effetto di una crescita prodigiosa dei risultati d’impresa, ecco che un casus belli - come potrebbe essere il coronavirus, e come avrebbe potuto essere la crisi iraniana, diventa l’occasione per l’industria finanziaria di ridurre l’esposizione al rischio.

Facendo così essa ribadisce un punto importante in sede di legittimazione. Ecco i passaggi: 1) i mercati formano naturalmente dei prezzi “efficienti” - ossia non sono mai “cari” perché scontano tutte le informazioni disponibili; 2) perciò quando correggono lo fanno per effetto di eventi esterni sia non prevedibili sia ad alto impatto (il “cigno nero”). Si ottiene così una legittimità basata su una argomentazione che sembra oggettiva: i mercati finanziari sanno fare i prezzi, ma poi gli eventi esterni ne influenzano la direzione. Abbiamo scritto "sembra" in quanto la dinamica dei mercati è legata anche alle narrazioni e al caso (4).

4 - Robert J. Shiller, Narrative Economics, January 2017; https://www.ft.com/content/dbf88254-22af-11ea-b8a1-584213ee7b2b; Nassim Taleb, Il cigno nero - come l’improbabile governa la nostra vita.

Perciò il punto in sede operativa non è stimare con precisione (messo che sia possibile) le ripercussioni virali per anticipare che cosa potrebbe accadere, quanto di immaginarne gli effetti.

 

3 - Il coronavirus

Una volta la Cina cresceva (come variazione del PIL) del 10% l’anno. Ultimamente cresce del 5%. Questo rallentamento cinese (= imaginato come un minor peso della Cina dovuto al dimezzamento del tasso di crescita) non va visto come un vantaggio in caso di crisi da coronavirus. Questo perché l’economia cinese è oggi il doppio (come livello del PIL) di quando cresceva al doppio. Perciò il volume addizionale di PIL che produce un 5% di crescita di una economia raddoppiata equivale al 10% di volume addizionale di PIL di un’economia che era la metà. Non solo, ma, a differenza di una volta, la Cina è dentro “le catene di valore” - l’esempio pop è il telefono portatile progettato in California e prodotto in Cina. Quindi l’economia cinese non solo è il doppio di una volta, ma è anche integrata.

Si hanno delle stime (5). Per ogni minor crescita del PIL cinese di un punto si ha una minor crescita asiatica di un terzo di punto. Per la Germania per ogni minor punto cinese si ha uno 0,15 per cento in meno di PIL e per l’Italia uno 0,05 in meno. Gli Stati Uniti hanno delle variazioni negative di tenore italiano. Come si vede - e per quel che valgono delle stime su argomenti virali che mostrano un tasso di crescita esponenziale, non si ha un effetto drammatico.

Diverso - come ricordato, è il caso dei mercati delle azioni che usano il casus belli del virus per giustificare una correzione dovuta da tempo.

Per chi volesse seguire la vicenda del virus in termini politici come un indebolimento del Presidente cinese (eletto a vita) forse conviene muoversi con una certa cautela (6). Se la vicenda del virus si risolve velocemente si avranno delle grandi lodi all’efficenza del sistema autoritario vigente in Cina. Se la vicenda, invece, non si risolve, allora le autorità di Pechino troveranno il modo di incolpare qualcun altro dell’accaduto.

5 - https://www.ft.com/content/8be84270-4430-11ea-a43a-c4b328d9061c

6 - https://www.economist.com/china/2020/01/30/xi-jinping-wants-to-be-both-feared-and-loved-by-chinas-people