Anticipiamo l'asset allocation mensile, che è normalmente pubblicata intono al ventesimo giorno di ogni mese, perché si ha una grande volatilità dei mercati, che merita di essere commentata.
1- Partiamo dai numeri.
I numeri sono tratti da: Credit Suisse – Global Equity Strategy – 5 giugno 2013. I fondi pensione statunitensi non hanno mai avuto una percentuale così bassa di azioni (grafico 51). Questo non vuol dire che abbiano venduto le azioni. I fondi pensione hanno, infatti, una raccolta costante, e dunque basta che comprino più obbligazioni che azioni che la quota di azioni scende. Dal 2008 ad oggi i fondi statunitensi che investono in obbligazioni hanno raccolto più di un miliardo di dollari, mentre quelli che investono in azioni hanno avuto una raccolta negativa di duecento milioni di dollari (grafico 59). Le azioni non sono state perciò comprate dagli investitori istituzionali e dal largo pubblico. Qualcuno le avrà per forza comprate, altrimenti non si sarebbero mai più riprese dal 2009. E comprate da chi allora? Le imprese hanno comprato le proprie azioni in misura cospicua, per un controvalore pari al 5% della capitalizzazione di borsa (grafico 62). Anche gli hedge funds hanno comprato azioni, tanto da essere ai massimi storici di esposizione in questa classe di attività (grafico 67). In conclusione, le azioni potranno salire stabilmente se gli investitori istituzionali – come i fondi pensione e le assicurazioni - e il largo pubblico, dopo una lunga latitanza, cominceranno a vendere obbligazioni e comprare azioni.
2- Passiamo al ragionamento.
L'uscita dalle obbligazioni che rendono meno del tasso di inflazione (corrente e atteso) non ha ancora prodotto una domanda di azioni abbastanza stabile da impedire delle cadute improvvise di queste ultime. Le azioni non sono a buon mercato, ma neppure troppo care. I prezzi delle azioni in eventuale ascesa hanno un supporto negli andamenti delle imprese, ma questo supporto non è dovuto a una forte espansione degli utili. Il supporto è legato ad un livello degli utili abbastanza elevato, ma a crescita modesta. Ci fosse perciò una forte domanda di azioni finanziata con la vendita delle obbligazioni, non entreremmo subito in una “bolla”, perché i prezzi per un po' sarebbero ragionevoli.
Esiste dunque un incentivo per comprare le azioni. Questa domanda di azioni non si materializza in misura marcata, perché non c'è ancora la convinzione diffusa che la Banca Centrale degli Stati Uniti smetterà di comprare (o ridurrà molto gli acquisti di) obbligazioni, che è quel che sta facendo per un controvalore di ben 85 miliardi di dollari al mese. I prezzi delle obbligazioni godono quindi ancora del supporto della domanda della Banca Centrale. Le obbligazioni hanno un rendimento nullo in termini reali (ossia al netto dell'inflazione), ma non si palesa – fintanto che la Banca Centrale interviene - una forte perdita in conto capitale, quella che si avrebbe con i rendimenti che vanno verso il cinque per cento (la media storica). Non palesandosi ancora questo rischio, le obbligazioni sono tenute nei portafogli. Una parte è venduta (generando un modesto rialzo dei rendimenti in termini assoluti), ma il controvalore di queste vendite non è ancora abbastanza elevato da spingere le borse stabilmente all'insù.
Non proprio tutte le obbligazioni sono tenute nei portafogli. Gli ultimi dati degli analisti in flussi mostrano come ultimamente siano usciti ben 12,5 miliardi di dollari dai fondi obbligazionari. Questa uscita è la maggiore in un arco temporaneo omogeneo degli ultimi dodici anni. Si sono avuti dei riscatti in ogni classe di attività, ma quelli particolarmente pronunciati si sono registrati nel campo degli High Yield e dei Paesi emergenti.
3- Più precisamente in campo azionario.
Con i rendimenti delle obbligazioni emesse dai Tesori intorno al 2% - in assenza di “premio per il rischio” - il rapporto fra la capitalizzazione di borsa e gli utili dovrebbe essere pari a 50 volte. Infatti, se sconto un flusso permanente di 100 euro di utili al 2% ho un capitale di 5000 euro. Alternativamente, un capitale di 5000 mila euro scontato al 2% mi da un flusso di reddito di 100 euro. Il rapporto effettivo fra capitalizzazione di borsa è utili è invece di 20 volte, il che significa che il fattore di sconto è il 5%. La differenza fra il 5% di sconto effettivo e il 2% di sconto che si avrebbe “in astratto” è il “premio per il rischio”. Quando le obbligazioni rendevano il 5% il rapporto fra capitalizzazione e utili era però sempre intorno alle 20 volte – e dunque il “premio per il rischio” era pari a zero. La conclusione è che, se anche le obbligazioni tendessero verso un rendimento del 5%, il loro rendimento storico, le azioni potrebbero non flettere, perché il “premio per il rischio” verrebbe annullato. E dunque, con la fine delle politiche monetarie ultra espansive, si avrebbe una caduta dei prezzi delle obbligazioni, e un'invarianza dei prezzi delle azioni. O meglio, le azioni potrebbero salire lo stesso per effetto della crescita degli utili.
Il grafico mostra il punto per gli Stati Uniti: il rendimento delle azioni – pari agli utili (non ai dividendi) sulla capitalizzazione – è la linea azzurra. Il rendimento delle obbligazioni è la linea rossa. Il “premio per il rischio” è la differenza fra le due linee ed è quella verde.
Tutto bene quindi? Si dovrebbero preoccupare dell'uscita dalle politiche monetarie ultra espansive solo gli investitori in obbligazioni? Si, se la distribuzione del reddito fosse normale e non anomala. Si è, infatti, avuta una gran caduta della quota dei salari sul reddito nazionale. Come mostra il grafico, oltre il 5% del (maggior) reddito nazionale è passato dai salari ai profitti. Questo non è un fenomeno solo statunitense, perché lo si è avuto dappertutto.
Facendo dei conti, se non si fosse avuta questa redistribuzione, i profitti lordi sarebbero inferiori di un terzo. Quelli netti, dopo gli ammortamenti e le imposte, ancora di più, circa la metà. Altrimenti detto, il rapporto fra capitalizzazione e utili, tutto il resto essendo eguale, sarebbe il doppio, ossia ben 40 volte. Dunque le azioni, a differenza delle obbligazioni, possono non risentire della fine delle politiche monetarie ultra espansive soltanto se la distribuzione del reddito rimane in linea con quella degli ultimi anni.
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