Viviamo in una sorta di sospensione che ricorda la Drôle de guerre: l'economia cresce, ma non si fanno le riforme necessarie, mentre le nubi si addensano, con i mercati finanziari privi di direzione.
1 – Le politiche accomodanti nel merito
Quando il debito pubblico è molto elevato si corre il rischio di non poter usare la politica fiscale, caso mai emergesse una crisi grave come quella iniziata nel 2018 o anche di entità minore. I debiti pubblici, infatti, sono, a differenza del 2008, oggi elevati in quasi tutte le economie avanzate, con il surplus primario – la differenza fra le uscite e le entrate prima del pagamento degli interessi - che è a dei livelli storicamente bassi. Se quest'ultimo – il surplus primario - è basso o addirittura negativo, ecco che non si ha uno strumento per correggere la traiettoria del debito. I numeri reativi del deficit, del saldo primario, e del debito li trovate qui: https://www.imf.org/en/Publications/FM/Issues/2018/04/06/fiscal-monitor-april-2018. Questi numeri sono la previsione a politiche fiscali invariate.
Si ha un debito pubblico dei Paesi avanzati che nel 2023 sarà intorno al cento per cento, con quello statunitense e italiano che saranno allo stesso livello del 116 per cento (sic). Quello tedesco, invece, si contrae sotto il cinquanta per cento. Il punto rileva per la famigerata previsione sullo spread: ci sarà ancora del “materiale” italiano in relativa abbondanza, con quello tedesco in progressiva scarsità. Ergo il rendimento tedesco – che trae origine da dei titoli di qualità elevata - dovrebbe essere minuscolo, mentre quello italiano – che trae origine da dei titoli di qualità medio bassa – dovrebbe essere elevato, ma, e qui sta la previsione, il rendimento italiano non sarà troppo elevato, perché, per avere un rendimento maggiore di quello tedesco che è quasi nullo, il debito italiano sarà comprato, salvo nostri errori madornali di politica economica.
In generale, il rischio è che, tanto maggiore il debito di partenza quando arriva una crisi, tanto maggiore è la flessione che segue. La ragione? Le manovre di correzione richieste per tenere il debito sotto controllo, con le suddette manovre varate in assenza di crescita o in presenza di tassi e rendimenti in ascesa. Si dovrebbe perciò mettere sotto controllo il debito attraverso il surplus primario proprio adesso che l'economia si sta riprendendo, tanto più che i moltiplicatori della spesa pubblica durante una ripresa non sono elevati come lo sono durante una recessione. Lo spazio - i vuoto di domanda - per la crescita degli investimenti pubblici è ovunque consistente se messo a confronto con le medie storiche, ma purtroppo i moltiplicatori degli investimenti in infrastrutture non sono elevati come sarebbe necessario: http://www.imf.org/en/News/Articles/2015/09/28/04/53/sores093014a
La ripresa in corso come che sia c'è ed è corale. Non è però detto che la ripresa mondiale tenga questo passo per molto tempo, ma intanto sembra essere robusta. Una ripresa che oltretutto perdura più di quanto non sia avvenuto nelle fasi cicliche simili in passato. Come mai dura di più, qual è l'origine dell'anomalia? La crisi che ha congelato gli investimenti che sono ripartiti, è una prima risposta. Una seconda è la coscienza della dinamica demografica che si sta diffondendo, con le persone non più giovani che rientrano nel mercato del lavoro, così frenando la ripresa salariale che si avrebbe in un contesto di disoccupazione decrescente. Ciò che - almeno per ora - smentisce la famigerata "curva di Phillips". I numeri si trovano da pagina 20: https://www.bis.org/publ/arpdf/ar2018_1_it.pdf.
2 - Del non far nulla e dei rischi
La ripresa economica è solitamente un incentivo a lasciare le cose come sono. Quindi è un incentivo per non continuare con le riforme dal lato dell'offerta, per non accrescere il surplus primario, per toccare marginalmente la politica monetaria; in questo ultimo caso per il timore che si rompa il delicato equilibrio della ripresa. Per i numeri che giustificano queste asserzioni si veda da pagina 6: https://www.bis.org/publ/arpdf/ar2018_ov_it.pdf.
Con la ripresa che prosegue combinata con delle politiche economiche lasche, il sistema finanziario e creditizio solitamente “allunga” le leve del debito per finanziare gli investimenti, ed è incentivato ad erogare anche i crediti più rischiosi - il famigerato "Minsky moment". L'autocompiacimento può però risvegliarsi all'improvviso e mostrarsi nel suo contrario. Con l'impatto negativo de risveglio che è tanto maggiore quanto maggiore è la presenza di debiti pubblici elevati e di un sistema finanziario e creditizio squilibrato. Su questo da pagina 13: https://www.bis.org/publ/arpdf/ar2018_1_it.pdf
Tre possono essere oggi le cause di un capovolgimento del buon andamento dell'economia reale e della stabilità di quella finanziaria.
- Uno scontro “vero” sul libero commercio. I mercati finanziari per ora non prendono sul serio questo scontro, ossia non lo considerano ancora vero, ma solo un inizio di negoziato.
- Un ritorno dei tassi e dei rendimenti sui o vicino ai livelli storici, ciò che porterebbe alla flessione dei prezzi delle azioni e delle obbligazioni sia del Tesoro sia private.
- Seppur non alimentata dalla scontro sul commercio e neppure da un forte rialzo dei tassi e dei rendimenti, può sorgere improvvisamente una “inappetenza” per il rischio. Un cambio di passo che potrebbe essere alimentato da vicende come l'arrivo del Populismo al governo o alle soglie dello stesso nelle economie avanzate, e più in generale, dall'evidenza che il cosiddetto "Ordine liberale" è ormai sulla difensiva. Su questo si veda l'Appendice.
- Sul leggero rallentamento in corso, sui rischi, e sulla "guerra commerciale": http://www.imf.org/en/Publications/WEO/Issues/2018/07/02/world-economic-outlook-update-july-2018
3 - L'ottimismo disincantato (reddito fisso) e l'autocompiacimento (reddito variabile)
Partiamo dalla politica monetaria statunitense e dal suo mercato finanziario, perché negli Stati Uniti si definiscono i comportamenti degli altri mercati. In particolare, i Paesi emergenti si sono indebitati in valuta statunitense quando questa segnava dei tassi di interessi bassi ed era debole sul mercato dei cambi.
Che cosa sta succedendo negli USA? I tassi a breve – quelli gestiti dalla Banca centrale, salgono, così come quelli a due anni, che sono direttamente influenzati dalla banca centrale, mentre quelli a dieci sono - in assenza di acquisti delle banche centrali - determinati dai mercati. Quelli a due anni sono saliti più di quanto non siano saliti quelli a dieci anni. Solitamente quando la curva dei rendimenti si appiattisce – la misura è la compressione del differenziale di rendimento fra le obbligazioni decennali e biennali – si ha una previsione implicita nei prezzi di mercato: il rialzo dei tassi si riverbera sui rendimenti biennali, ma modestamente su quelli decennali, che, restando abbastanza bassi, rispetto a quelli a scadenza minore, segnalano una crescita dell'economia relativamente contenuta nel futuro, e quindi dei tassi contenuti.
Che cosa prevedono oggi i mercati delle obbligazioni statunitensi per il lungo periodo? Con un rendimento al livello del tre per cento non si ha una previsione di crescita reale durevole accompagnata da un'inflazione stabilmente intorno al due per cento. Si dovrebbe avere, infatti, un rendimento del cinque per cento. Questo rendimento inferiore al cinque per cento non prevede nemmeno che possa sorgere un vero problema legato al finanziamento del debito pubblico crescente, frutto della politica fiscale lasca di Trump. In questo caso, infatti, i rendimenti dovrebbero essere maggiori per rendere appetibile la sottoscrizione di un debito crescente, tanto più che la Banca Centrale ha smesso di comprare, anche se non li vende, i titoli del Tesoro.
In breve, la previsione implicita del mercato delle obbligazioni del Tesoro statunitense - che è "il" mercato, perché è cospicuo di suo e influenza tutti gli altri, sia quelli del reddito fisso sia di quelli del reddito variabile, perché determina il fattore di sconto - è un andamento senza scosse maggiori. Non per caso, gli spread delle obbligazioni private e del credito sono schiacciati ed inferiori al loro livello pre crisi.
Si hanno due scuole di pensiero per spiegare questi andamenti.
- La prima sostiene che i tassi e i rendimenti non torneranno al loro livello storico per effetto della famigerata “stagnazione secolare”.
- La seconda sostiene che le banche centrali hanno alzato “poco” i tassi quando c'era ripresa, mentre li hanno abbassati “molto” quando non c'era. Questa asimmetria altera i comportamenti dei mercati. Una volta che si sia accumulato molto debito con dei tassi e dei rendimenti compressi, diventa poi difficile per le banche centrali alzare i tassi, perché si avrebbe un contraccolpo negativo. Gli operatori scommettono di conseguenza che questi rialzi se ci saranno, saranno contenuti. Si forma così una sorta di “ottimismo disincantato”, Non si crede che le cose “vadano bene”, ma si pensa che nulla di davvero grave possa accadere.
E il mercato delle azioni? Si è avuta fino a qualche mese fa una spinta ragguardevole a favore delle azioni dai rendimenti schiacciati delle obbligazioni. Il rendimento delle azioni – calcolato come margine operativo netto sulla capitalizzazione – è pari al sei per cento, mentre quello delle obbligazioni – cedola del titolo decennale sul prezzo - è tornato intorno al tre per cento, ma era rimasto intorno al due per cento durante la “grande recessione”. Si ha un rendimento addirittura doppio. (Qui però va sollevato un punto tecnico: si confronta un reddito – quello operativo netto – che per gli azionisti è tale prima di scalare gli interessi e le imposte, per non dire l'utile trattenuto. Gli azionisti ricevono, infatti, solo il dividendo, non l'utile operativo netto. Dal che segue che il confronto fra i due rendimenti non è molto corretto. Le obbligazioni pagano interamente il loro reddito, la cedola, mentre le azioni ne pagano una parte, il dividendo. Segue che, per assicurarsi del reddito che non è solo quello distribuito come dividendo, l'investitore dovrebbe pagare un premio assicurativo, che però ridurrebbe la differenza di reddito iniziale, che, abbiamo visto, è pari al doppio).
Nonostante la notevole crescita degli utili e i rendimenti ancora bassi il mercato azionario statunitense è rimasto fermo dalla fine di gennaio. La forte crescita degi utili lo ha riportato verso la media della sua valutazione come Capitalizzazione verso gli Utili attesi , ma non come Capitalizzazione verso gli Utili decennali, laddove, secondo questa metrica, il mercato è ancora caro. Se è scesa la valutazione come rapporto Prezzi/Utili attesi, il mercato azionario, restando fermo, sconta una pausa prima di riprendersi? Oppure sconta una minore propensione al rischio, che peraltro emerge dopo una corsa decennale?
Si può azzardare una spiegazione per giustificare questo comportamento divenuto cauto ma non negativo nonostante le molti nubi del mercato delle azioni. A) I mercati finanziari alla lunga sono sempre saliti malgrado due guerre mondiali e due rivoluzioni maggiori, quella russa e quella cinese. B) Si può perciò pensare - ecco un ragionamento per induzione - che le cose possano ripetersi e quindi andare nonostante e nubi di nuovo allo stesso modo. Alle Democrazie, infatti, è andata sempre bene, ma poteva anche andar male. Poiché il versante davvero negativo degli eventi finanziari non si è mai palesato, è sorto l'auto-compiacimento.
4 - Appendice
Per non appesantire il testo sono state evitate le molte considerazioni di natura politica. Esse ovviamente contribuiscono ad alimentare il clima di attesa di cui diceva.
Per una sintesi delle vicende ultime:
Per approfondire le vicende ultime:
https://www.foreignaffairs.com/articles/world/2018-06-14/liberal-world?cid=int-lea&pgtype=hpg
Sulle vicende storiche che potevano andar male: Mark Mazawer, Le ombre del'Europa, ma che sono andate bene: David Runciman, The Confidence Trap
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