Invece di trattare gli argomenti contingenti, questa volta affrontiamo le tendenze di lungo termine. Esse – naturalmente se sono quelle «giuste» – vanno tenute presenti nelle decisioni di investimento. La tendenza maggiore è l’influenza che l’invecchiamento della popolazione dovrebbe avere sui prezzi delle azioni e su quello delle obbligazioni.


Si ha una relazione statistica significativa fra fiducia nel futuro e importanza delle fasce centrali di età. Ossia, quanto maggiore è il peso della fascia della popolazione che guadagna di più e risparmia di più, tanto maggiore è il moltiplicatore degli utili. La fascia forte è quella fra i 35 e i 55 anni. Il moltiplicatore degli utili è la capitalizzazione di borsa rispetto agli utili delle imprese degli ultimi dieci anni, l’arco temporale che smussa il ciclo. Quanto più numerosi sono coloro che sono nella fascia forte rispetto ai giovani, fino ai 25 anni, e ai vecchietti, oltre i 65 anni, tante più volte sono pagati gli utili che le società generano in un ciclo economico lungo. Proponiamo il grafico, sulla borsa statunitense, da cui si evince che il P/E dovrebbe tendere a 15 volte. Un P/E di 15 è pari a un rendimento degli utili di circa il 7% (100/15=7). Se la distribuzione dei dividendi fosse, come è ragionevole, pari alla metà, si avrebbe un rendimento delle azioni del 3,5% circa. Un numero compatibile con una crescita modesta dell’economia (1,5% reale) e dell’inflazione (2%). Dunque tutto bene, ma sono finiti gli anni ruggenti, quelli in cui la crescita dei prezzi era una componente cospicua del rendimento complessivo delle azioni. Si dovrebbe tornare a una borsa – simile a quella prevalsa fino al 1958 – dove i rendimenti complessivi sono soprattutto il frutto della distribuzione degli utili. Si veda la tabella per i rendimenti dei dividendi e della crescita dei prezzi.


Grafico:   http://www.centroeinaudi.it/images/lettera_economica/demografiaborsa.gif


Tabella:  http://www.centroeinaudi.it/images/lettera_economica/tabellaborsausa.gif


L’invecchiamento della popolazione ha un impatto devastante sui conti pubblici. La spese per le pensioni e la sanità dovrebbero crescere moltissimo nei paesi maggiori – a eccezione dell’Italia, che ha corretto le dinamiche di spesa sanitaria e delle pensioni negli anni Novanta, generando dei deficit e quindi dei debiti che vanno ben oltre quelli che hanno tratto origine dalla crisi del 2007-2009. È facile che i rendimenti salgano prima che le manovre di controllo della dinamica del debito siano varate. Anzi, la crisi finanziaria è la precondizione per l’azione della classe politica, come abbiamo sperimentato negli anni Novanta in Italia.


La Banca dei Regolamenti Internazionali mostra tre scenari, che si trovano a pagina 9: 1) quello in cui non si fa niente, 2) quello in cui sono portati sono controllo i conti senza considerare l’invecchiamento della popolazione, 3) quello in cui si portano sotto controllo sia i conti sia gli effetti demografici sulla spesa per pensioni e sanità. Si vede che a far niente la dinamica del debito pubblico è fuori controllo. Sia il commento sia il documento della BRI si trovano qui: http://www.centroeinaudi.it/ricerche/i-debiti-pubblici-proiettati-al-2050.html.


Ecco i riferimenti. Sugli andamenti correnti dei conti pubblici: Citigroup, Sovereign Debt Problems in Advanced Industrial Countries, 26 aprile 2010. Sugli effetti politici dei conti pubblici: Morgan Stanley, Sovereign Subjects, 25 agosto 2010. Sugli effetti strategici della demografia: Deutsche Bank, From the Golden to the Grey Age, 10 settembre 2010. Sui dividendi e le obbligazioni in Europa: UBS, European Equity Strategy, 17 settembre 2010.

 

Dunque la tendenza a lungo termine milita a favore di una borsa che ruota più intorno ai dividendi che alla crescita dei prezzi, e milita anche contro le obbligazioni a lungo termine – si capisce, fino all’aggiustamento dei conti pubblici. Le cose nell’immediato possono andare diversamente, perché le tendenze lunghissime entrano poco alla volta nelle aspettative, salvo poi essere scontate all’improvviso. Relativamente all’immediato, l’OCSE mostra dei grafici che rendono evidente come vi sia un rallentamento della ripresa: http://www.oecd.org/dataoecd/32/24/45968339.pdf.


In conclusione. Nel breve termine. A) Non s’intravede una forte crescita all’orizzonte e perciò non si vede che cosa possa spingere le azioni al rialzo; B) non si vede che cosa possa giustificare un prezzo così alto (un rendimento così basso) delle obbligazioni dei paesi maggiori, se non B.1) la previsione di una stagnazione economica alla giapponese, e B.2) la previsione che il debito pubblico in offerta crescente sarà comunque sottoscritto nel corso degli anni a tassi molto bassi. A nostro avviso, se la previsione B.1 è credibile, la B.2 lo è molto meno. Da qui lo scetticismo. Nel lungo termine. La pressione demografica dovrebbe militare a sfavore delle azioni che non distribuiscono un dividendo elevato e delle obbligazioni a lungo termine. Non vedendo motori per l’ascesa dei prezzi delle azioni e delle obbligazioni a lungo termine, ribadiamo la nostra idea strategica secondo la quale è meglio bivaccare insieme alle obbligazioni a breve termine in euro, per aspettare che gli eventi prendano una direzione chiara. Direzione che per noi è un livello inferiore dei prezzi sia delle azioni sia delle obbligazioni a lungo termine.



Settembre 2010

    
           Stati Uniti

    
       Europa euro

 

Azioni / Obbligazioni

                --

              --

 

Obbligazioni / Liquidità

                 -

               -

 

Quando la previsione è di un’attività finanziaria che va molto peggio di un’altra, il giudizio è «---»; 
«--» o «-» sono giudizi meno negativi. 
Lo stesso vale con «+++» e, a scendere, con «++» o «+».




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