Abbiamo una crisi che è più grave delle altre del secondo dopoguerra (1). Questa crisi è stata, soprattutto negli Stati Uniti, affrontata con l’attivismo monetario – tassi a zero e acquisto di attività finanziarie di qualità decrescente (2) – e fiscale – deficit pubblici in espansione (3). Sembra a molti che le cose stiano per riprendersi. Il mercato azionario è salito molto dal minimo dei primi giorni di marzo. È il settimo rimbalzo da quando è iniziata la crisi. Questo, secondo alcuni, è un rimbalzo non da reazione alla caduta, ma da fuoriuscita dalla crisi.

Va tenuto presente che i mercati sono interdipendenti. Se il mercato delle azioni sale perché intravede l’uscita dalla crisi, ossia perché prevede conti delle imprese migliori, allora anche il mercato delle obbligazioni private dovrebbe salire, dal momento che pure le obbligazioni hanno un valore che dipende dal reddito delle imprese. Inoltre, se la crisi sta per finire, si deve dedurre che anche i prezzi delle obbligazioni emesse dai Tesori, un bene «rifugio» durante le crisi, finiscano per normalizzarsi e quindi che i loro rendimenti incomincino a salire.
 
La fine della crisi – dal punto di vista dei mercati finanziari – allora si ha: A) se i prezzi delle azioni e delle obbligazioni private salgono (5), B)  se i prezzi delle obbligazioni del Tesoro a breve e medio termine scendono (6). S’intende: i prezzi debbono salire stabilmente, ossia non per una mera reazione alla caduta precedente. Perché le azioni salgano, si deve avere un’ascesa degli utili. Ascesa che si deve manifestare in un futuro non troppo lontano. C) Per affermare che si avrà un’ascesa futura, si debbono avere segni nel presente, ossia i risultati delle imprese, pur molto negativi, debbono essere meno negativi delle previsioni.
 
Insomma, coloro che pensano che la crisi stia per finire hanno in mente le crisi finanziarie del secondo dopoguerra. I prezzi delle azioni salgono in poco tempo, perché gli utili si riprendono velocemente; in breve, perché l’economia reale e quella finanziaria reagiscono a «V», ossia cadono, raggiungono il minimo e si riprendono; non si riprendono a «U», ossia lentamente. Nella mente di chi pensa che la crisi stia terminando, le cose non hanno certamente un conformazione a «L», ossia di tipo giapponese, con una caduta e poi un movimento laterale senza ascesa che dura decenni.
 
Definiti i termini del problema, entriamo nel merito. Si tenga presente che i numeri sono quelli degli Stati Uniti, i più tempestivi e, nonostante tutto, i più trasparenti. La trasparenza è il frutto della gran quantità di analisi fatte giornalmente nella «blogosfera». Il mercato europeo non fornisce cifre sugli utili in tempi stretti, ma, storicamente, è andato come quello statunitense. Se assumiamo che sia ancora così, è sufficiente discutere degli Stati Uniti.
 
Gli utili attesi del primo trimestre del 2009 erano quelli di una flessione sul primo trimestre del 2008 del 37% (8). Dopo la prima settimana della «stagione degli utili», essi sono all’incirca allo stesso punto, nonostante i risultati (sospettosamente) buoni delle quattro grandi banche che li hanno comunicati. I risultati per ora non sono migliori delle attese. Se anche lo fossero, resterebbe aperto il problema di come risollevare le banche dalla modesta qualità del loro attivo (11). Segnali veri dal punto di vista degli utili non si hanno. Non se ne hanno nemmeno dal punto di vista dei prezzi delle obbligazioni private: essi sono saliti, ma restano estremamente bassi in prospettiva storica. La differenza di rendimento fra i titoli privati e quelli del Tesoro è tuttora particolarmente elevata. Si osservi nel grafico (di Bespoke Investment) la differenza con il 2002, l’anno della crisi precedente risoltasi in fretta, una crisi a «V», insomma. Le obbligazioni di qualità oggi rendono il 5% circa più di quelle del Tesoro, e le obbligazioni di minor qualità il 15% circa. Nel 2002 la differenza era del 2% e del 10%. In conclusione, non si vedono i segnali classici della ripresa a «V».
 
Resta il mistero dell’ascesa dei corsi azionari. Non abbiamo trovato una spiegazione che non sia la previsione, a nostro giudizio poco circostanziata, di un prossimo miglior andamento delle cose. Nel 2003, dopo una recessione breve e morbida, i mercati azionari cominciarono a salire. I prezzi salivano e gli utili salivano. Di conseguenza, nonostante la forte crescita dei prezzi, le azioni non si facevano più care. Anche oggi i prezzi delle azioni salgono, anticipando la ripresa. Ripresa che dovrebbe essere fragile: le famiglie debbono, infatti, rendere il debito e dunque consumare poco, mentre le imprese non dovrebbero investire molto. Gli utili alla fine non dovrebbero crescere abbastanza. Man mano che la borsa sale, essa diventa sempre più cara.
 
Per chiarire il nostro punto di vista, facciamo una domanda retorica. I rendimenti delle obbligazioni private sono talmente elevati che si spiegano solo con un rischio di fallimento diffuso (A) e con una grande disoccupazione (B). A) Facendo i conti su quante imprese dovrebbero fallire per giustificare questi rendimenti, si arriva alla conclusione che la metà delle imprese che emettono obbligazioni rischiose dovrebbe fallire (12). B) I rendimenti delle obbligazioni private sono così elevati che si giustificano solo con un’ulteriore forte crescita della disoccupazione. I rendimenti delle obbligazioni private sono stati capaci di prevedere le variazioni occupazionali. Il secondo grafico (del «Wall Street Journal») mostra la disoccupazione futura che emerge dai rendimenti correnti.
 
Se si crede che la ripresa sarà a «V», allora, per coerenza, si dovrebbe comprare il mercato meno caro, o, se si preferisce, il più «disastrato», quello delle obbligazioni private di minor qualità. Se nessuno lo fa, allora la ripresa in arrivo non è una previsione presa sul serio. Insomma, alberga nelle menti il sospetto che ci saranno molti fallimenti e che la disoccupazione crescerà.
 
Dunque non cambiamo la nostra asset allocation. Essa è elaborata mensilmente su un orizzonte di tre mesi. Siamo alla fine d’aprile, quindi l’asset allocation di riferimento per queste settimane è quella elaborata nel gennaio 2009. Pensiamo che le azioni andranno nei prossimi mesi peggio delle obbligazioni a lungo termine. Queste ultime stanno risalendo e quindi hanno prezzi in flessione. Segue che la parte breve del debito pubblico resta ancora il miglior investimento. Riteniamo che la direzione di lungo termine del dollaro (13) sia quella dell’indebolimento nei confronti dell’euro. Ergo, le obbligazioni a breve termine in euro sono l’investimento migliore.

 

Gennaio 2009        Stati Uniti          Europa euro  
Azioni/obbligazioni             --                --  
Obbligazioni/liquidità             -                -  
 
Febbraio 2009        Stati Uniti         Europa euro  
Azioni/obbligazioni             --               --  
Obbligazioni/liquidità             -               -  
 
Marzo 2009        Stati Uniti         Europa euro  
Azioni/obbligazioni             --              --  
Obbligazioni/liquidità             -              -  
 
Aprile 2009         Stati Uniti         Europa euro  
Azioni/obbligazioni             --             --
Obbligazioni/liquidità             -             -  

Quando la previsione è di un’attività finanziaria che va molto peggio di un’altra, si ha un giudizio di «---».
«--» o «-» sono giudizi meno negativi.
Lo stesso vale con «+++» e, a discendere, con «++» e con «+». 




(1) Nel nuovo Rapporto del Fondo Monetario si trovano le statistiche. A p. 131 il grafico riassuntivo della crisi in corso in rapporto a quelle precedenti:

http://www.imf.org/external/pubs/ft/weo/2009/01/pdf/c3.pdf

 

(2) I richiami alle tabelle che mostrano come la banca centrale degli Stati Uniti abbia accettato delle obbligazioni di qualità decrescente si trova in:
http://www.centroeinaudi.it/commenti/fotografia-del-salvataggio-delle-banche.html

 

(3) Sull’espansione dei bilanci pubblici e sulla fragilità di quello degli Stati Uniti:

http://www.centroeinaudi.it/notizie/la-solidità-dei-bilanci-pubblici.html

 

(5) Sugli acquisti di attività finanziarie statunitensi da parte dell’estero, va sottolineato come queste si siano ultimamente concentrate su quelle meno rischiose:

http://blogs.cfr.org/setser/2009/04/17/reserve-managers-keep-buying-treasuries/

 

(6) I prezzi delle obbligazioni private salgono perché il rendimento è giudicato eccessivo rispetto al rischio. Il prezzo delle obbligazioni del Tesoro (o sovrane) scendono perché il rendimento è giudicato troppo basso nel nuovo contesto.

 

(8) Le previsioni dei privati non sono smentite da quelle del fisco:

http://www.centroeinaudi.it/notizie/la-«stagione-degli-utili»-dal-punto-di-vista-del-fisco.html

 


(11) L’attivo delle banche è concentrato sui titoli dubbi. Al passivo i depositi non sono a rischio, perché garantiti dallo stato. La qualità dei titoli tossici è messa continuamente in dubbio:

http://www.centroeinaudi.it/commenti/fotografia-del-salvataggio-delle-banche.html
http://www.centroeinaudi.it/notizie/le-obbligazioni-tossiche-crescono.html

(12) http://www.bloomberg.com/apps/newspid=20601087&sid=aVSo_s5NdPEs&refer=home  


(13) Il dollaro dovrebbe indebolirsi per effetto della diversificazione delle riserve dei paesi emergenti. Il fenomeno ogni tanto compare sui media, ma non è ancora discusso a sufficienza: 

spreads
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obbligazioni_versus_disoccupazione
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