Le azioni hanno dei prezzi elevati rispetto agli utili che si possono immaginare per il 2009, ed il rendimento delle obbligazioni lunghe è basso in rapporto al volume d’emissioni sempre del 2009. La flessione dei prezzi, in corso da qualche settimana, ha questa spiegazione. Pensiamo che la flessione, con qualche rimbalzo, continuerà.

·        Nel novembre del 2002, con una recessione morbida, l’utile per azione dello S&P500 era pari a circa 30 dollari. Poi, dal 2002 al 2007, con la ripresa, gli utili sono saliti da 30 fino a 70 dollari. Gli utili del terzo trimestre 2008, gli ultimi noti, sono sotto i 50 dollari. Quelli del quarto trimestre 2008 potrebbero facilmente andare sotto i 40 dollari. Nei prossimi anni gli utili dovrebbero salire meno del passato recente per la mancanza dei motori di domanda del ciclo precedente, il gran consumo delle famiglie e la gran leva del settore finanziario. I prezzi, di conseguenza, non dovrebbero cadere poco in presenza di utili in caduta, come avvenuto nel 2002, perché agiva il ragionamento (corretto) che tanto i profitti poi ricrescono molto ed in fretta. La previsione perciò è quella di un’ulteriore flessione delle azioni, con un rimbalzo successivo meno forte di quelli sperimentati nel passato recente. Proviamo a quantificare: possiamo immaginare che se paghiamo gli utili circa 15 volte, come nella media degli ultimi venti anni, avremmo un livello dei prezzi di 450 (=30X15). Se immaginiamo che il moltiplicatore degli utili non è “meccanicamente” applicato agli utili “depressi””, ma agli utili più “normali”, allora possiamo avere un livello di 750 (=50X15). Come che sia, la forchetta mostra che un’ulteriore flessione nel 2009 è probabile. Un ragionamento simile si può fare per l’Europa.

·        Abbiamo, da qualche settimana, un altro fattore che preme all’ingiù. In Cina arriva, o è arrivata, la recessione. La stima è difficile, ma si può immaginare, che se la produzione di energia elettrica, una statistica facile da raccogliere, è in flessione di quasi il 10%, qualcosa sta andando male. Per lo standard cinese, una recessione si ha anche con un’economa in crescita. La spiegazione del paradosso è che sotto una certa soglia di crescita (stimabile intorno al 8%) le decine di milioni di contadini che s’inurbano non sono più assorbiti negli opifici e quindi possono diventare dei sottoproletari (magari in rivolta). La recessione cinese a sua volta trascina al ribasso la domanda di beni capitali e di materie prime. Si allarga il mal andamento delle borse, perché sono coinvolte le imprese di questi settori.
 
·        Il rendimento delle obbligazioni statunitensi dai dieci ai trent’anni è in una forchetta fra il 2,5% ed il 3%. Quello europeo dei paesi “virtuosi” non è troppo diverso. Un rendimento decisamente basso rispetto al un rendimento normale, che è intorno al 5%. Un rendimento basso può durare per molto tempo, se l’economia è depressa, come, per esempio, avviene in Giappone da quasi venti anni. La direzione successiva dei rendimenti è all’insù, e quindi quella dei prezzi delle obbligazioni è all’ingiù. La perdita che si potrebbe avere, con il ritorno alla normalità, sarebbe molto alta, potendo i prezzi, per equiparare le vecchie e nuove cedole, passare da 100 a circa 75. Se però la crisi è forte, come probabilmente sarà quella del 2009, i rendimenti possono restare bassi.
 
La previsione “classica” potrebbe fermarsi qui, e affermare che non si ha un gran rischio tasso sulle obbligazioni, ma, ecco la novità, il deficit pubblico cresce in recessione, sia in modo automatico, ossia spese rigide e minori imposte, sia per volontà politica, ossia evitare che le cose s’avvitino. Quello statunitense dovrebbe andare sopra i mille miliardi di dollari, un ammontare tre volte maggiore di quello degli ultimi anni. Una pressione al rialzo (non troppo marcata) dei rendimenti delle obbligazioni si dovrebbe avere, si noti, non perché si esce dalla recessione, ma perché vanno assorbite le molte obbligazioni emesse. Le obbligazioni lunghe hanno un rischio tasso, e questo è vero negli Stati Uniti ed in Europa.
 
Negli Stati Uniti ed in Europa vanno evitate sia le azioni sia le obbligazioni (a lungo termine). Uno allora per esclusione investe in strumenti del mercato monetario, anche se il rendimento è pari a zero o quasi. E’ meglio non guadagnare che perdere, banalmente.
 
·        La spinta al ribasso del dollaro, dovuta ai differenziali di rendimento a favore dell’Europa ed alla diversificazione delle riserve dei paesi emergenti da qualche tempo non agisce. I differenziali, infatti, si stanno chiudendo, ed i cinesi continuano a comprare le obbligazioni statunitensi. Infine, alcuni pensano che i paesi europei periferici, come la Grecia, potrebbero causare una crisi dell’euro. Non crediamo alla crisi dell’euro, ma per il prossimo futuro il dollaro sembra essere stabile.
 
Quando tutto è oscuro che cosa fanno i mercati finanziari? Cercano un livello dei prezzi talmente basso, che da quel punto in avanti non possono che risalire. Ossia scontano lo scenario peggiore. Questo comportamento ha il nome di ”overshooting”. Chi ha vissuto l’esperienza della svalutazione della lira nel 1992 e della caduta dei prezzi dei BTP nel 1995 sa di che cosa si parla.
 
Pensiamo che vi sia ancora della strada al ribasso, perciò manteniamo invariata la nostra asset allocation, che sostiene, dal dicembre 2007, che le obbligazioni a breve termine in euro sono alla fine la cosa migliore. La tabella espone l’idea che nel prossimo futuro le azioni sono peggio delle obbligazioni lunghe (--), ma queste ultime sono peggio di quelle corte (-).
 
Dicembre 2008
Stati Uniti
Europa Euro
Azioni Obbligazioni
0
0
Obbligazioni Liquidità
-
-
Gennaio 2009
Stati Uniti
Europa Euro
Azioni Obbligazioni
 --
 --
Obbligazioni Liquidità
-
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Quando la previsione è di un’attività finanziaria che va molto peggio di un’altra si ha un giudizio di “---“. Due meno o un meno solo sono giudizi meno negativi. Lo stesso vale con “+++”, e a discendere con due e con un “+”.



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