Per prima cosa riportiamo, in versione sintetica, la nostra più recente Asset allocation. Poi la approfondiamo alla luce delle ultime vicende. Alla fine articoliamo il bivio decisionale e le nostre conclusioni. Con una nota sulla disoccupazione.
La versione precedente
La giustificazione dell’ascesa dei corsi delle azioni degli ultimi mesi si basa su due «narrative»: il miglior andamento societario negli Stati Uniti e la ripresa dell’economia cinese. Nel primo caso, si mostra il miglioramento degli utili, ma non si ricorda che non migliorano i fatturati. Nel secondo, non si tiene conto di com’è organizzata la contabilità nazionale – in Cina si considera «spesa» la «volontà di spesa». Si è creato alla fine un «ambiente comunicativo» che sostiene che siamo al termine della recessione. Il traguardo è convincere chi era stato «alla finestra» che tutto sta andando per il meglio e che «è ora di rientrare» nei mercati finanziari.
Le famiglie statunitensi – l’epicentro della crescita degli ultimi decenni – sono meno ricche e debbono pure ridurre l’onere del proprio debito. Debbono consumare di meno – ossia risparmiare di più – e quindi, per evitare l’avvitamento, lo stato deve spendere di più. Dunque, dovremmo avere una domanda anemica e una pressione sui rendimenti delle obbligazioni. A fronte di uno scenario come questo i prezzi delle azioni – pari a 15 volte gli utili con la più generosa delle contabilità, quella che non tiene conto delle poste straordinarie – sono elevati. Non abbiamo quindi ragione per mutare strategia: salvo in qualche periodo, essa finora ha funzionato. La nostra idea è che le azioni non abbiano una vera forza per salire perché gli utili, in una situazione di modesta crescita, non sono sufficienti per spingerle in alto stabilmente e perché, allo stesso tempo, i rendimenti delle obbligazioni non potranno che salire, per effetto delle grandi emissioni di debito pubblico. La nostra idea è che le azioni possano ancora flettere. Così come possono flettere le obbligazioni, seppure meno delle azioni. Di conseguenza, da un punto di vista strategico, conviene aspettare che i prezzi raggiungano un nuovo equilibrio (inferiore). Nel frattempo, conviene mantenere gli investimenti nel monetario in euro: si evita il rischio tasso e anche il rischio dollaro.
Gli aggiornamenti e gli aggiustamenti
Quel che è accaduto nel frattempo è che i rendimenti delle obbligazioni a lungo termine sono rimasti grosso modo stabili, mentre le azioni sono salite nuovamente con volumi modesti. Le «larghe masse», se misurate come raccolta netta dei fondi comuni, non sono ancora state coinvolte nella ripresa dei corsi, mentre, se misurate come coloro che comprano e vendono con piccole cifre dalle proprie postazioni, hanno incominciato a comprare. Il fenomeno della «speculazione minuta» lo si vede dalla crescita abnorme dei volumi scambiati sui titoli che sono simili a delle opzioni, ossia che possono salire con violenza se solo le cose si mettono bene – come, fra quelli americani, quelli di Fannie Mae e Freddie Mac, ossia le imprese che finanziano i mutui ipotecari, di AIG, l’assicurazione al centro del sistema della copertura dei crediti, e di Citigroup, la banca al centro di molte difficoltà. Oggi tutte e quattro queste imprese hanno come maggior azionista lo stato, e i loro volumi scambiati sono stati pari – in agosto – a un terzo degli scambi complessivi.
Lo scenario non è mutato nell’ultimo mese: la parte peggiore delle crisi – se intesa come il livello dell’attività economica in caduta libera – è alle spalle, ma la ripresa sarà stentata e comunque bisognosa di cospicui aiuti pubblici. Il punto è precisamente questo: la ripresa stentata trainata dal settore pubblico. I prezzi delle azioni, invece, si comportano come se le cose potessero tornare alla normalità in poco tempo, e i prezzi delle obbligazioni si comportano come se le grandi emissioni future di debito pubblico potessero essere sottoscritte facilmente, coi rendimenti invariati. In gergo, s’immagina che la ripresa sarà a «V», invece si potrebbe avere una ripresa stentata, detta a «U»; oppure una ripresa con caduta successiva, detta a «W»; oppure ancora nessuna ripresa, proprio come in Giappone negli ultimi venti anni, e allora si dice a «L».
Per non farla troppo lunga, ricordiamo che, secondo Standard & Poor’s, il livello dei prezzi delle abitazioni statunitensi tornerà verso quello pre-crisi nel 2020 (1). Per non farla troppo lunga, ricordiamo che allo stato – ossia la somma degli utili degli ultimi dodici mesi – il rapporto prezzo/utili dello Standard & Poor’s, con gli utili che tengono conto delle poste straordinarie, è pari a circa 140, mentre senza poste straordinarie è pari a 27. Inglobando le previsioni sino alla fine dell’anno si ha, nel primo caso, un rapporto prezzo/utile di 27 volte, nel secondo caso di 20 volte (2). Sono numeri molto alti – la media storica è, infatti, intorno alle 15 volte – e dunque i prezzi si giustificano solo se gli utili cresceranno molto nel 2010, ossia se la ripresa non sarà stentata.
Approfondimento: la politica comunicativa di Obama
Quando, negli anni Novanta, l’Italia doveva entrare nell’euro, il Tesoro forniva ai mercati previsioni molto negative, in modo che i numeri effettivi – di gran lunga migliori – colpissero favorevolmente le aspettative, che erano pessime. Ogni volta i numeri effettivi erano migliori e dunque i BTP reagivano, salendo sistematicamente di prezzo. Negli Stati Uniti si sta seguendo una politica opposta: l’Amministrazione fornisce numeri notevolmente buoni sulla dinamica dell’economia, del debito e dei rendimenti attesi, in modo che il pessimismo non prenda il sopravvento. Mantenendo bassi – con le previsioni, ma anche con gli acquisti della banca centrale – i rendimenti delle obbligazioni oggi, lo scenario futuro diventa migliore. Attenzione: deve essere migliore, non è possibile averlo peggiore, altrimenti la reazione sarà quella di vendere i titoli del debito. Secondo noi, gli Stati Uniti stanno seguendo una strategia rischiosa. Nel caso dell’Italia, si prometteva «un marito violento e ubriacone», salvo ogni volta scoprire che era «mite e astemio» – e dunque la sposa, deliziata, comprava i BTP. Nel caso degli Stati Uniti, la strategia è di promettere un marito «mite e astemio» – il rischio è che la sposa scopra che il marito sarà «violento e ubriacone»: a quel punto la sposa potrebbe abbandonare la festa nuziale, ossia vendere i Bond.
La sposa potrebbe essere la Cina, il principale creditore degli Stati Uniti, preoccupata per le grandi emissioni di debito in dollari. Il timore che il futuro possa non essere roseo forse sta dietro gli acquisti di materie prime industriali. Se è così, la crescita dei loro prezzi non proverebbe che la ripresa è incipiente, ma solo che abbiamo una diversificazione dei portafogli dal dollaro. Forse dietro gli acquisti di oro non abbiamo la paura dell’inflazione, ma un’opzione che consente di proteggere i portafogli in caso di crisi (3).
Si scelga la propria interpretazione
A) La crisi è quasi finita e la borsa anticipa la ripresa, salendo. La ripresa genererà un gettito fiscale tale che il debito pubblico sarà sotto controllo; e dunque i rendimenti sono oggi giustamente bassi. Il dollaro, infine, è debole perché si vendono dollari per comprare le attività più lucrative. Ci si indebita negli Stati Uniti all’1% e si comprano obbligazioni australiane a due anni al 4%. La debolezza del dollaro non è un segno di crisi, ma di fiducia. Le materie prime industriali salgono perché in Asia c’è ripresa.
B) La crisi è quasi finita, ma la ripresa sarà stentata perché le famiglie statunitensi non consumeranno come prima, in quanto debbono ridurre il debito. La ripresa stentata della domanda per consumi frenerà la crescita degli utili. Inoltre, non alzerà molto il gettito e quindi i deficit pubblici resteranno elevati e le obbligazioni in offerta saranno cospicue. La crescita della borsa – peraltro, ancora con pochi volumi – è quindi eccessiva. I rendimenti sono bassi, ma alla fine saliranno molto – dunque i prezzi delle obbligazioni alla fine scenderanno. Le materie prime industriali salgono perché in Asia non ci si fida del dollaro. Inoltre, la domanda di oro rafforza il sospetto che vi sia timore diffuso sulla tenuta del dollaro. Tutto sembra – sembra – che stia andando per il meglio, proprio come sembrava nel Giappone degli ultimi vent’anni: anche lì sembrava che le cose potessero rimettersi in carreggiata, ma poi questo non avveniva.
Conclusioni
La nostra interpretazione è la seconda. Lo ripetiamo, la nostra idea è che le azioni possano flettere, così come possono flettere le obbligazioni, seppure meno delle azioni. Di conseguenza, da un punto di vista strategico – si veda la nostra opinione da un punto di vista tattico (4) –, conviene aspettare che i prezzi raggiungano un nuovo equilibrio (inferiore). Nel frattempo, conviene mantenere gli investimenti nel monetario in euro: si evita il rischio tasso e anche il rischio dollaro. Nella situazione di oggi, insomma, pensiamo che, da un punto di vista strategico, sia meglio comportarsi da «tartaruga» piuttosto che da «lepre» (5).
Nota: la disoccupazione «buona»
Per sapere se l’economia va bene o male durante una crisi, si può fare un semplice esercizio, ispirato all’economista austriaco Joseph Schumpeter. Durante le crisi, le imprese espellono lavoratori. Ovvio. Ma anche, durante le crisi, le imprese assumono. I settori e le imprese vecchie si contraggono, i settori e le imprese nuove si espandono. La misura «dinamica» della disoccupazione è data dal numero di «espulsi» diviso per il numero degli «attratti». Se a fronte di un’ondata di licenziamenti ci sono imprese che assumono un buon numero di lavoratori, allora l’economia è sana, ossia essa sta solo «cambiando pelle». In questo caso, la crisi è «fisiologica», non è «strutturale». Durante la crisi precedente – quella del 2001 – il rapporto fra disoccupati e assunti era pari a due. Oggi è pari a sei. Chi pensa che questa sia una crisi a «V» e non a «U», «W» o «L», dovrebbe offrire una buona spiegazione per questo rapporto pari a sei (6).
(1) http://www.zerohedge.com/article/moodys-does-not-expect-housing-return-pre-bust-levels-2020
(2) http://www.decisionpoint.com/TAC/SWENLIN.html
(3) http://www.centroeinaudi.it/notizie/la-corsa-alloro.html
(4) http://www.centroeinaudi.it/asset-allocation/asset-allocation-tattica-al-17-settembre-2009.html
(5) Da Esopo. La lepre (le azioni) si vantava con gli altri animali: «Nessuno può battermi in velocità», diceva. «Sfido chiunque a correre come me». La tartaruga (le obbligazioni), con la sua solita calma, disse: «Accetto la sfida». «Questa è buona!», esclamò la lepre; e scoppiò a ridere. «Non vantarti prima di aver vinto», replicò la tartaruga. «Vuoi fare questa gara?». Così, fu stabilito un percorso e dato il via. La lepre partì come un fulmine: quasi non si vedeva più, tanto era già lontana. Poi si fermò, e, per mostrare il suo disprezzo verso la tartaruga, si sdraiò a fare un sonnellino. La tartaruga intanto camminava con fatica, un passo dopo l'altro, e, quando la lepre si svegliò, la vide vicina al traguardo. Allora si mise a correre con tutte le sue forze, ma ormai era troppo tardi per vincere la gara. La tartaruga sorridendo disse: «Non serve correre, bisogna partire in tempo».
(6) http://www.centroeinaudi.it/images/lettera_economica/disoccupazione%20schumpeteriana.jpg
Agosto 2009 | Stati Uniti | Europa euro |
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Quando la previsione è di un’attività finanziaria che va molto peggio di un’altra,
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