Riprendiamo il ragionamento sulle due banche italiane di medie dimensioni aggiungendo alcuni elementi sulle caratteristiche reddituali e patrimoniali. Come totale attivo le due banche sono oggi molto simili anche se la banca “no” ha subito negli ultimi sei anni un netto calo derivante dalla crisi che sta ancora attraversando.

 

Oltre ai classici attivi le due banche detengono masse consistenti di cosiddetti AUM (Asset Under Management, ovvero il risparmio gestito ed amministrato). La banca “si” ha valori doppi di AUM pari a circa 2/3 degli attivi, costantemente cresciuti nel tempo, contro 1/3 della banca “no”. Questa differenza spiega almeno in parte la maggiore stabilità e corposità della voce Ricavi Commissionali della banca “sì”. Come passaggio successivo possiamo confrontare i ricavi unitari delle due banche, anche grazie al fatto che il numero dei dipendenti è molto simile. Ugualmente si può verificare quanto pesa il costo del lavoro sul totale dei costi ricorrenti ovvero non insoliti o straordinari. Le due tabelle confermano la debolezza della banca “no” nella generazione di ricavi unitari mentre il costo del lavoro allineato a quello della banca “sì” , senza essere stato peraltro particolarmente distante anche negli anni precedenti.

Bancasino 3
Bancasino 3

In sintesi, la banca ”no” ha sperimentato una struttura di ricavi sbilanciata sulla componente degli interessi attivi che, una volta emersa la fragilità, l’ha costretta ad un drastico ridimensionamento. La situazione attuale non presenta un peso sproporzionato del costo del lavoro ma senz’altro un contributo unitario ai ricavi decisamente insufficiente. Le due tabelle successive mostrano come queste dinamiche siano state accompagnate, se non generate, da una fisiologica insufficienza patrimoniale che è stata solo ultimamente colmata.

Bancasino 4
Bancasino 4

A fine 2015 le due banche risultano allineate sotto il profilo patrimoniale. Anzi, la banca “no” ha persino una leva ben maggiore rispetto alla banca “sì” come conseguenza dell’aumento di capitale che servirà a finanziare i futuri investimenti. I due indicatori hanno rappresentato un punto di particolare fragilità per la banca “no”, con oltretutto fasi troppo altalenanti per essere le fondamenta patrimoniali su cui costruire al redditività prospettica.

A questo punto resta solo da stabilire l’impatto sulla qualità dell’attivo delle due banche delle scelte effettuate nel passato, avendo ovviamente presente quale può essere il risultato finale date le premesse contenute in questa e nella precedente analisi. La banca “no” ha un fardello di sofferenze nette, ovvero i crediti difficilmente recuperabili, circa cinque volte superiore alla banca “sì” e pari a un sesto della totalità dei crediti verso i clienti. Non serve mettere in tabella una situazione di così semplice evidenza. L’aumento di capitale è servito anche ad assorbire queste poste che saranno presumibilmente in gran parte destinate ad essere alienate sul mercato dei NPL (No Performing Loans ovvero le sofferenze) per alleggerire ulteriormente l’attivo e permettere il ritorno ad una redditività adeguata.