Le decisioni «macro» sono prese dalle élite politiche e finanziarie, composte da poche migliaia di persone, mentre quelle «micro» sono prese da milioni di persone, fra loro non coordinate. Osservare le cose dal punto di vista «macro» può alimentare l’ottimismo, perché si ha la sensazione che le cose del mondo alla fine siano controllabili dai potenti, mentre si può diventare scettici a osservarle da un punto vista «micro», perché si fa fatica a capire quale possa essere l’ingranaggio per la messa in moto di una ripresa robusta che generi occupazione.
Il punto di vista «macro»
Alla crisi negli Stati Uniti si è reagito con una politica fiscale abbastanza lasca, ma, soprattutto, con una politica monetaria estremamente lasca. Alla politica monetaria tradizionale – l’abbattimento dei tassi di interesse – si è aggiunta quella non ortodossa – l’acquisto di titoli da parte della banca centrale: prima dei titoli con in pancia i mutui ipotecari, poi dei titoli del Tesoro. In questo modo si sono stabilizzati i mercati finanziari, e dunque si è impedito il propagarsi delle aspettative di un peggioramento continuo delle cose. Alla fine tornerà la fiducia – l’economia è flessibile e si è sempre ripresa (1) – e le imprese torneranno ad assumere e così potrà finalmente crescere la quota di reddito nazionale che va ai salariati (2). La lezione degli anni Trenta è stata appresa: ci vuole l’intervento pubblico per fermare l’avvitamento. Passata la tempesta – o, se si preferisce, avendo saggiamente comprato del tempo – le cose s’aggiustano.
Il punto di vista «micro»
Si prendano i dati relativi all’erogazione del credito negli Stati Uniti. Si osservi la variazione del credito dal picco precedente. La contrazione degli ultimi tempi è pari al 12%. Durante le crisi precedenti essa non aveva mai superato il 3% (3). Detto diversamente, le banche non prestano il denaro, ma lo investono in misura crescente in titoli di stato. Il credito alle imprese e alle famiglie perciò è floscio. Anche il capitale di rischio che si incanala verso le imprese innovative (il venture capital) è floscio (4). Se le famiglie sono molto indebitate, è difficile che tornino a chiedere credito – nonostante i tassi bassi. Se le banche debbono ancora ammortizzare i cattivi crediti, è difficile che eroghino credito – ossia che prendano nuovi rischi – prima di avere un bilancio sano. Preferiscono rendere solido il proprio bilancio con i titoli del Tesoro. Le nuove imprese innovative non dovrebbero però risentire di queste vicende. Esse vivono in un mondo di grande rischio proiettato nel futuro. I soldi in passato li hanno sempre ricevuti. Chi dovrebbe oggi prestar loro il denaro forse non si sente ancora sicuro degli investimenti (supposti) poco rischiosi che ha nelle attività tradizionali. Dunque non se la sente di impiegarne sia pure una piccola parte in investimenti che sono molto rischiosi. Il sistema economico sembra essere diventato poco reattivo, e dunque da dove verrà mai fuori la ripresa? La crescita occupazionale è, infatti, il frutto delle nuove imprese che crescono e assumono (5).
E allora? Spero di essere riuscito a costruire due ragionamenti opposti ed entrambi convincenti. A me, però, pare più credibile quello «micro».
(1) http://economistsview.typepad.com/.a/6a00d83451b33869e201538eb9f86e970b-popup
(2) http://www.zerohedge.com/sites/default/files/images/user5/imageroot/images/Labour%20Share.jpg
(3) http://blog.atimes.net/wp-content/uploads/2011/06/totloans2.jpg
(4) http://blog.atimes.net/wp-content/uploads/2011/03/vc.jpg
(5) http://www.oecd.org/dataoecd/34/48/40808184.pdf
Il ragionamento è uscito su L’Inkiesta del 4 giugno 2011:
http://www.linkiesta.it/blogs/economista-greco/carneade-new-york
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