Doveva essere il preludio alla valanga indipendentista, un plebiscito mascherato da elezione regionale per affermare la propria lontananza da Madrid. Le elezioni del 25 novembre in Catalogna si sono invece trasformate nel tracollo del partito nazionalista Convergencia i Uniò (CiO), quello che aveva sciolto il Parlament e chiamato i cittadini alle urne.

“Datemi la maggioranza assoluta e avrete un referendum per l’autodeterminazione” era stata la scommessa del governatore Artur Mas. Dopo le elezioni, il suo partito, si ritrova con un modesto 30 per cento dei voti, otto punti in meno di due anni fa. Ma, soprattutto, lontanissimo da quella maggioranza assoluta che aveva invocato a più riprese per portare la regione a scegliere sulla propria autodeterminazione. Paradossalmente chi ha beneficiato di più dell’arretramento di CiU non è il Partito Popolare (Pp), il baluardo centralista e filo-spagnolo. I conservatori guadagnano pochissimo, mentre ad uscire trionfante è Esquerra Republicana (Erc), il partito indipendentista della sinistra radicale, che guadagna il 7 per cento di voti e, come numero di deputati eletti, è diventato la seconda forza, scalzando un Partito socialista in forte ribasso. Le forze centrifughe (CiU e Erc) nel nuovo Parlament hanno conquistato la metà dei seggi e lo stesso Mas ha ammesso che, dopo questa débâcle, il suo partito “non ha la forza per guidare il processo di autodeterminazione”.

Il risultato choc arriva dopo che i dati sull’affluenza, la più alta della storia, sembravano aver premiato la scelta di cavalcare l’onda indipendentista seguita alla manifestazione dell’11 Settembre. Invece, gli astenuti cronici non si sono recati alle urne per chiedere l’indipendenza, ma un cambio di rotta sulla politica fiscale. Mas era convinto di poter stravincere le elezioni nonostante i due anni di tagli draconiani, licenziamenti e nuove tasse, promettendo agli elettori un referendum che forse non avrebbe portato all’indipendenza vera e propria, ma aveva l’obiettivo di ottenere la riscossione diretta dei tributi e recuperare l’enorme deficit fiscale della regione, che ogni anni trasferisce a Madrid tra il 6 e il 9 per cento della propria ricchezza.

“Siamo stati salvati con i nostri soldi”, andava ripetendo ad ogni comizio il governatore, riferendosi al bailout di Madrid su Barcellona. L’intervento del Fla, il Fondo di liquidità delle autonomie, si era reso necessario perché le casse della Generalitat sono le più disastrate di tutta la Spagna, con un deficit regionale che ha raggiunto il 22 per cento del Pil. “Colpa dei troppi trasferimenti a Madrid”, era il mantra ripetuto da Mas.

Nelle prime dichiarazioni dopo il voto, il governatore ha promesso che il referendum sull’autodeterminazione si farà comunque, perché le forze politiche che chiedono la consulta hanno la maggioranza nel nuovo Parlament. Il progetto di Mas, guidare da solo la rotta verso il referendum, è naufragato, e la sua forza contrattuale nei confronti del governo di Mariano Rajoy esce da queste elezioni fortemente ridimensionata. Ora per la Catalogna si prospetta un governo di coalizione, ma resta da capire chi sarà il compagno di viaggio di CiU. Durante la campagna elettorale Erc ha fatto capire a più riprese di essere disposta a collaborare con Mas sull’autodeterminazione, ma è improbabile che possa appoggiare le politiche di austerity portate avanti dal governatore. Così come non appare credibile che il Pp, quarta forza ma a un’incollatura da Erc e socialisti, possa mettere da parte le divergenze sul referendum con il solo scopo di appoggiare l’agenda Rajoy sui tagli alla spesa. Anche i socialisti hanno tutto da guadagnare da un possibile isolamento di CiU, dopo che in queste elezioni la loro proposta federalista è rimasta schiacciata tra i due estremismi.

L’incerto risultato della Catalogna fa tirare un sospiro di sollievo a Rajoy, che si è impegnato fortemente in questa consultazione, partecipando a tre diversi comizi in compagnia della candidata popolare Alícia Sánchez-Camacho. Un rafforzamento delle posizioni indipendentiste in Catalogna avrebbe potuto provocare un effetto domino anche nei Paesi Baschi, dove alle elezioni di un mese fa i partiti autonomisti hanno fatto incetta di voti. L’indebolimento di CiU permette al governo centrale di prendere tempo, e di ridiscutere i flussi fiscali della Catalogna più avanti, quando – si spera – la bufera sui bonos spagnoli sarà alle spalle e i margini di trattativa saranno più ampi.

Alla vigilia dell’appuntamento con le urne tutti gli osservatori si aspettavano che il rebus catalano fosse quale strada legislativa intraprendere per raggiungere il referendum. Nel day after tutti si chiedono invece come Mas riuscirà a governare un parlamento così frammentato e polarizzato su entrambi gli assi cartesiani della politica catalana: austerità e indipendentismo.