Nel XIX Rapporto finanziario italiano elaborato dalla Fondazione Rosselli dal titolo “Le banche commerciali italiane: redditività, credito e rete”, a cura di Giampio Bracchi and Donato Masciandaro, si è inteso analizzare la redditività dell’industria bancaria italiana rispetto alla situazione europea.
Nel contesto attuale di crisi finanziaria, dove il sistema creditizio italiano si è dimostrato più resistente di altri, grazie soprattutto alla minore esposizione agli attivi tossici e alla raccolta di capitali sui mercati finanziari, il Rapporto ha evidenziato le debolezze strutturali della banca commerciale territoriale, che costituisce il modello distintivo dell’industria bancaria e finanziaria italiana italiane, in riferimento a due fattori: l’efficienza nella struttura dei costi, con particolare attenzione alla fisionomia della rete degli sportelli, e l’efficacia nell’allocazione del credito.
Dallo studio che mette a confronto 27 sistemi bancari europei dall'introduzione dell'Euro ad oggi (1998-2012) è emerso in primis una caduta strutturale degli indici di profittabilità, in particolare nei Paesi PIIGS (Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia e Spagna) rispetto a quelli Non PIIGS, evidenziando così un "effetto debito sovrano sulla redditività". In Italia, spiega il rapporto, dove in assenza di prospettive di importanti incrementi dei ricavi in un'economia stagnante l’industria bancaria non riesce più ad avere margini di guadagno, una ripresa della redditività dipenderà in maniera cruciale dalla dinamica dei costi e da un miglioramento della qualità del credito. Su questo quadro pesano peraltro le recenti riforme regolamentari di settore e le necessità di rafforzamento patrimoniale imposte dalle Autorità europee, oltre ad un costo del lavoro che in Italia si pone ben al di sopra degli altri settori nazionali e della media europea. E mentre in tutta Europa vengono riesaminati radicalmente gli economics delle reti di dipendenze, riconsiderandone il numero, la localizzazione e l’organizzazione, il sistema italiano risulta tuttora sovradimensionato (sportelli per 100.000 abitanti).
Ma è la questione di una migliore dell’allocazione del credito da parte delle banche, cruciale per la ripresa economica, che si pone al centro del Rapporto. L’indagine focalizza l’attenzione sulla qualità del credito attraverso un’analisi dell’andamento relativo della domanda potenziale da parte delle PMI italiane e dell’offerta effettiva, stimando che la differenza è stata particolarmente significativa all’inizio della crisi (2007-2008) e successivamente dopo l'emergere del rischio del debito sovrano. In linea con quanto affermato da un recente studio del Fondo Monetario Internazionale, (Small and Medium Size Entreprises, Credit Supply Shocks, and Economic Recovery In Europe di Nir Klein), il rapporto ha evidenziato quindi una forte correlazione tra la presenza di Pmi nei Paesi europei e la crescita economica in presenza di una forte stretta creditizia. Nei Paesi PIIGS, nel triennio agosto 2011-agosto 2014, il credito alle imprese si è drasticamente ridotto:, segnando un -33% in Spagna ed Irlanda, un – 22% in Portogallo e un -16% in Grecia. Il credito ha invece tenuto nel periodo nei Paesi core dell’Eurozona, Francia inclusa. In Italia, secondo i dati BCE, i crediti alle imprese ad Agosto 2014 erano pari a 826 miliardi, con un calo del 9% rispetto ai 911 miliardi di tre anni prima.
Eppure nonostante nel 2013-14, con il rafforzamento patrimoniale delle banche italiane e la messa a disposizione di abbondante liquidità a basso costo da parte della BCE, il credit crunch si sia allentato, la richiesta di credito delle imprese non è ripartita. Pertanto se nel 2011, in particolare nei Paesi periferici, il problema era la forte contrazione dell’offerta di credito unita all’elevato rischio di credito, negli ultimi tre anni il fuoco si è spostato sul lato della domanda, che si è accentuata nella lunga stagnazione dell’economia e degli investimenti. Il problema sembra quindi essersi spostato dalla disponibilità di liquidità al suo trasferimento dalle banche all’economia reale. La persistente restrizione del credito da parte delle banche, attuato spesso in maniera indiscriminata, ha indotto le imprese a ridimensionare i propri piani di investimento e avviare processi di diversificazione delle passività in favore della componente obbligazionaria del debito, come ad esempio i cosiddetti minibond.
In definitiva i risultati del Rapporto confermano le raccomandazioni di politica economica che giungono da più parti in riferimento alla necessità per le banche italiane di aumentare la propria produttività attraverso una diversa politica del lavoro e dei compensi, politiche di fusioni ed acquisizioni “hard”, cioè che producano aumenti di produttività effettivi ed immediati, non eventuali e posticipati, ed infine il maggior utilizzo della tecnologia per al fine di conoscere meglio i propri clienti spesso "opachi", ridurre il razionamento del credito ed attenuare l'estensione degli shock finanziari all'economia reale.
E’ il sistema di governance di ciascun istituto il più appropriato per realizzare questi piani? Il Rapporto riconosce che la natura speciale delle regole europee già oggi fa delle banche italiane delle aziende molto diverse rispetto alla tipica azienda quotata italiana, con importanti effetti sulle finalità di regolazione, sulle pratiche di supervisione, sul management bancario e sui rimedi giuridici. Ed auspica, in attesa dei risultati degli stress test e dell’avvio, dal 4 novembre, dell’Unione bancaria europea che affiderà alla Bce la supervisione bancaria dei 120 maggiori istituti di credito in Europa (14 in Italia), un miglioramento della governance, in termini di una più accentuata consapevolezza sulle funzioni e responsabilità del board, distinzione più chiara tra funzioni di supervisione strategica e compiti di gestione ed infine maggiore presenza di amministratori indipendenti.
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