Il commento cerca di mettere a fuoco l’essenziale della settimana precedente e cerca di definire i punti salienti della settimana che arriva. Il commento è scritto durante il fine settimana, in modo da essere pronto per la lettura il lunedì.


La settimana è ruotata intorno alla presentazione del piano di salvataggio del sistema finanziario del ministro del Tesoro statunitense, T. Geithner. Nonostante l’impegno e l’enfasi profuse, Geithner non è riuscito a rassicurare i mercati finanziari.

La ragione della presentazione di un piano poco circostanziato e dello scetticismo dei mercati può essere riassunta, secondo l’economista P. Krugman, così: 1. le prime quattro banche statunitensi hanno bisogno di coprire 450 miliardi di perdite, mentre capitalizzano 200 miliardi; 2. una capitalizzazione diversa da quasi zero può essere immaginata come il frutto della speranza nel salvataggio; 3.  se Geithner avesse dichiarato che solo quattro banche hanno bisogno di risorse pari alla metà della manovra fiscale, avrebbe asserito una cosa poco popolare. Se, invece, aspetta e poi dice che, dopo una accurata verifica e suo malgrado, ha scoperto che le cose sono proprio mal messe, forse riuscirà a mobilitare le risorse necessarie.
 
Lo scetticismo dei mercati è quindi dovuto al sospetto di numeri molto brutti. In effetti, le stime, di Goldman Sachs, del Fondo Monetario e dell’economista N. Roubini, variano da due a quasi quattro trilioni di dollari per l’intero sistema finanziario statunitense.  

Intanto che si dibatteva il piano di Geithner, i risultati delle imprese statunitensi quotate sono peggiorati, al punto che la stima sul loro livello per la metà del 2009 si è dimezzata rispetto a quella di dicembre 2008 (1). In Europa ed in Giappone i numeri usciti nella settimana sono peggiori di quelli statunitensi (2). Mette conto segnalare che nella discussione fra i siti di livello è finalmente emerso il paragone fra il Giappone di ieri e gli Stati Uniti d’oggi, nei termini della riflessione del capo economista della Nomura di R. Koo, che avevamo discusso (3). Uno potrebbe sostenere, per consolarsi, che almeno il piano di rilancio fiscale d’Obama è stato votato. Vero, ma quel che conta è la previsione sui suoi effetti, che sono quelli di impedire che le cose peggiorino, non che le cose si riprendano in fretta (4).
 
Abbiamo da qualche tempo due tendenze, quella dell’indebolimento delle azioni, dovuta all’ovvia ragione della caduta degli utili, e quella del rafforzamento delle obbligazioni dei Tesori, dovuta all’ovvia ragione della ricerca di un investimento sicuro. La nostra opinione è che l’indebolimento delle azioni è una tendenza che continuerà, ma non siamo sicuri che le obbligazioni a lungo termine continueranno a registrare dei rendimenti così compressi. Vero che si ha e si avrà la ricerca spasmodica dei titoli sicuri, ma l’enorme offerta d’obbligazioni (in scadenza e nuove, negli Stati Uniti ed in Europa) che si avrà nel 2009 potrebbe spingere i rendimenti al rialzo.
 
Una corrente accreditata di pensiero è che le “bolle”, ossia i prezzi che non si giustificano con i comportamenti economici razionali, sono state tre, quella della tecnologia fino al 2000, quella degli immobili fino al 2006, quella dei titoli dei Tesori tuttora in corso. Se le obbligazioni scendono di prezzo perché così si alza il rendimento, poco male, basta non averle. Quel che è vero a livello del portafoglio individuale non è però vero per l’economia nel suo complesso. Il rialzo del rendimenti accresce il costo delle manovre di salvataggio. La conclusione è che nelle settimane a venire va seguito il mercato obbligazionario, il tallone d’Achille delle manovre di salvataggio (e quindi, alla fine, anche delle borse).