Il punto di vista maggioritario su quel che sta accadendo nello Stato ”democratico capitalistico avanzato” (DCA) dipinge un quadro quasi apocalittico. Secondo questo punto di vista, lo Stato DCA si è molto indebolito per la diffusione delle idee neoliberali e per la globalizzazione. Questi accadimenti sono all'origine della maggior disuguaglianza, che non è stata contrastata da una maggior redistribuzione. Ecco che emerge il mondo delle oligarchie cosmopolite annegate nel mare delle diseguaglianze che è all'origine della “rivolta contro le élites”, alias il Populismo. Il punto di vista minoritario, che abbiamo iniziato ad esporre e che continuiamo ad esporre in questa nota, sostiene, al contrario, che vi è sì stata una spinta dalle idee neoliberali e della globalizzazione, ma che questa è anche legata ad un diffuso desiderio del nuovo ceto medio di ampliare la base della propria fortuna, ossia lo spazio dell'“economia della conoscenza”, ciò che avviene a danno del ceto medio debole.

Quanto segue si ispira a T. Iversen, D. Soskice, Democracy and Prosperity, Princeton and Oxford, 2019. Conforto alle loro tesi si trae anche dagli studi dell'OCSE, mentre gran parte degli approfondimenti sono tratti dai lavori di Lettera Economica.

1 – L'economia della conoscenza

 Il primo grafico mostra come sia esplosa nel giro di trenta anni l'istruzione negli Stati DCA. Oltre il 40 per cento delle persone fra i 25 e 24 anni sono oggi delle laureate di primo grado, e quasi il 30 per cento delle persone fra i 55 e i 64 anni sono laureate di primo grado.

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Il secondo grafico mostra sull'asse di sinistra l'apertura delle economie dei DCA e su quello di destra gli investimenti fatti all'estero e ricevuti all'interno dei DCA. Come si vede, abbiamo avuto una seconda esplosione.

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Il terzo grafico mostra la modernizzazione finanziaria – misurata con un indice sull'asse a sinistra - e il peso del settore finanziario - misurato come valore aggiunto sul PIL sull'asse di destra. Come si vede abbiamo avuto ancora un'esplosione.

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Il quarto grafico mostra come la liberalizzazione del mercato dei prodotti sia aumentata nel corso del tempo in tutti i Paesi. I Paesi sono, infatti, tutti sopra la diagonale, ciò che implica una loro crescita in termini di liberalizzazione come misurata da un indice.

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Il quinto grafico mostra gli accordi di scambio annuali – asse di sinistra come somma e come spaccatura negli istogrammi di diverso colore sull'asse orizzontale - e il cumulato degli accordi – asse di destra. Come si vede, abbiamo avuto un'altra esplosione.

democracyprosperity 8
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Ai tempi dell'economia fordista – quella delle grandi concentrazioni industriali – si aveva un addensamento dei redditi entro il ceto medio. I redditi dei lavoratori qualificati e dei lavoratori non qualificati differivano poco. Con l'economia della conoscenza – quella dove sono premiati solo i lavoratori qualificati, mentre gli altri sono diventati dei precari – i redditi dei primi e dei secondi si divaricano. Il sesto grafico mostra il punto.

Qui abbiamo – l'asse verticale a sinistra - la famigerata relazione di Pareto del'80-20, ossia un quinto di ogni popolazione “dirige il gioco”, mentre i quattro quinti “seguono”. (Che è come dire che la maggior parte degli effetti è dovuta a un numero ristretto di cause, già ma quali?). La relazione di Pareto è messa in rapporto – l'asse verticale a destra - al non meno famigerato indice di Gini, una misura della concentrazione dei redditi. Nel grafico abbiamo la concentrazione dei redditi dei soli maschi in età da lavoro del settore manifatturiero e dei servizi negli Stati Uniti.

Come si vede, abbiamo una concentrazione molto ineguale all'inizio e alla fine del periodo con un infra-periodo egualitaristico – i cosiddetti “trenta gloriosi”.

democracyprosperity 1
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2 – La distribuzione ineguale del reddito e delle opportunità

I sei grafici dicono che abbiamo delle economie con una numero crescente di cittadini ad alta istruzione (primo grafico), delle economie che sono molto aperte all'estero (secondo e quinto grafico), delle economie che sono molto finanziarizzate (terzo grafico), nonché liberalizzate in misura crescente (quarto). Come si vede dal sesto e ultimo grafico, che mostra la distribuzione del reddito nel passaggio dall'economia fordista a quella della conoscenza, abbiamo avuto una concentrazione molto ineguale all'inizio – appena dopo la Seconda guerra - e alla fine del periodo – a partire dagli anni Ottanta - con un infra-periodo egualitaristico – i cosiddetti “trenta gloriosi”.

Non tutti han quindi tratto beneficio dall'economia della conoscenza, come si evince anche da due studi dell'OCSE.

Il primo è sulla “mobilità sociale”: A Broken Social Elevator? How to Promote Social Mobility, 2018. La sintesi è qui: https://www.oecd.org/els/soc/Social-Mobility-2018-PolicyBrief.pdf. Se si osserva la mobilità nel campo educativo – se si è più o meno condizionati dal proprio retroterra – si evince che essa è maggiore laddove lo stato spende di più in istruzione. Considerazioni simili si hanno nel caso della salute. Se si osserva la relazione fra spesa in formazione nel campo del lavoro e la spesa delle stato, emerge che i Paesi che spendono di più sono quelli che meglio riescono a frenare la discesa di parti della classe media nei decili inferiori di reddito. Conclusione “netta”: la mobilità sociale si ha con l'intervento dello stato.

Il secondo è sulla “classe media”: Under Pressure: The squeezed Middle Class, 2019. La sintesi è qui: http://www.oecd.org/els/emp/Job-polarisation-and-the-work-profile-of-the-middle-class-Policy-brief-2019.pdf. Si mostra che con una specializzazione elevata si resta nella classe media, a differenza che con una specializzazione normale. Le famiglie con due redditi da lavoro non a specializzazione elevata tendono a scivolare nella parte bassa della classe media. Ciò accade anche perché i beni non riproducibili industrialmente come le abitazioni hanno registrato un'ascesa dei prezzi superiore alla crescita media dei prezzi e delle retribuzioni. Conclusione “netta”: la riduzione delle diseguaglianze si ha con l'intervento dello stato.

Entrambi gli studi offrono delle proposte per evitare che la classe media con minori competenze finisca per percorrere strade oscure. Attenzione, si sostiene che vada promossa la “mobilità sociale”, non l'”egualitarismo”. Qual è, infatti, la relazione simbiotica fra la democrazia e il capitalismo – qui da intendere come “distruzione creatrice”? Gli elettori detti “decisivi” votano i partiti e le politiche che promuovono i settori avanzati, i quali, a loro volta, possono finanziare chi, appartenendo ai settori arretrati, si trova in condizioni di disagio. Dal che si arguisce che l'essenza della democrazia non è la redistribuzione o l'uguaglianza, ma il progresso della classe media forte, che redistribuisce per ridurre la diseguaglianza.

3 - L'importanza della mobilità sociale e della minor diseguaglianza

La mobilità lega gli interessi delle diverse classi di reddito. Quelli all'estremità inferiore possono pensare ad una ascesa sociale propria e dei propri figli, mentre quelli all'estremità superiore possono pensare ad una discesa sociale propria e dei propri figli. Ciò che spinge gli estremi ad una comunanza di interessi: a) come preoccupazione per il movimento al ribasso, che alimenta l'interesse di chi sta oggi meglio per come vivono le persone che colà albergano. b) come interesse per gli effetti di un movimento al rialzo, che alimenta l'attenzione di chi sta oggi peggio per i costi della tassazione che si potrebbero avere domani. Questa duplice logica della mobilità sociale crea una comunanza di interessi, laddove si possono seguire anche delle linee di classe, ma senza l'intensità che si avrebbe se tutti fossero fermi alla condizione di partenza. In un mondo ad alta mobilità sociale le classi esistono, ma nel corso del tempo sono composte da individui sempre diversi.

Ora immaginiamo che la mobilità sociale si blocchi, perché chi, ancora appartenente alla classe media, ma con poche competenze, si trovi, per come funziona l'”economia della conoscenza”, nella condizione di poter scivolare verso il basso. Da un lato costoro cercheranno di ottenere un'integrazione del proprio reddito con il trasferimento – attraverso le imposte – di una parte del reddito dai ceti che hanno competenze, ai quali, peraltro, non possono sperare di unirsi; d'altro, non vedono una comunanza di interessi con quelli che stanno in fondo, come gli immigrati. Infine, poiché la mobilità verso l'alto è vista come impossibile, i posti di lavoro e il reddito vengono percepiti come un gioco a somma zero in cui gli immigrati sono visti come dei concorrenti indesiderati.

Abbiamo visto dagli studi dell'OCSE che ci si sta avviando nei Paesi DCA verso una modesta se non nulla mobilità sociale. L'assenza o la modestia di quest'ultima spinge gli individui ad identificarsi con la classe di partenza, ciò che spinge dalla parte opposta della comunanza di interessi. Per evitare questa deriva, l'OCSE propone l'intervento pubblico nel campo dell'istruzione e della formazione. Per evitare questa deriva, Iversen e Soskice si immaginano una integrazione reddituale che stemperi le tensioni. Insomma, si intravvede di nuovo l'intervento dello Stato nella vita economica.

Ciò che consente di vedere nella giusta retrospettiva il “keynesismo”. Quest'ultimo è da molti immaginato come la sola spesa pubblica, mentre è un uso temporaneo della spesa pubblica per evitare derive politiche. Altrimenti detto, Keynes è visto come il padrino dell'attivismo economico, ma va ricordato che è anche colui che ha evitato il disastro – quest'ultimo avrebbe potuto essere frutto della grande crisi prima politica con l'insorgere dei totalitarismi dagli anni Venti, e poi economica con la grande depressione dagli anni Trenta. Il keynesismo ha contribuito al mantenimento dell'Ordine liberale in una nuova veste, quella sviluppatosi dopo la guerra nella forma dello Stato Sociale. Keynes rientra nel filone della critica di Burke alla Rivoluzione francese, critica che insiste nell'affermare che, per quanto attraente possa essere una rivoluzione, questa, alla fine, porta al disastro. E dunque che la rivoluzione va governata evitando che prendano il sopravvento i rivoluzionari. La sfida consiste quindi nel navigare evitando la regressione conservatrice e il rovesciamento rivoluzionario.