Che la Germania rappresenti l’economia più solida e competitiva dell’Unione Europea è difficilmente contestabile. La produttività tedesca mostra dinamiche che sono indiscutibilmente superiori a tutti i paesi dell’area euro oltre ad avere delle finanze pubbliche relativamente solide. Peraltro, considerando i debiti detenuti dalla KFW, agenzia governativa che detiene € 430 miliardi di debito non consolidati nel bilancio pubblico, il rapporto tra debito e PIL tedesco sarebbe intorno al 98% (rispetto all’82% del 3° trimestre 2012). Per confronto, le equivalenti istituzioni italiane e francesi (Cassa Depositi e Prestiti, Caisse de Depots et Consignations) hanno esposizioni debitorie pari rispettivamente a circa € 6 e € 25 miliardi, importi che non sposterebbero altrettanto significativamente i debiti dei due paesi (127% e 90% del PIL).
Come si può notare, le distanze esistono ma sono meno significative relativamente ai paesi mentre lo sono rispetto al parametro fissato dal Trattato di Maastricht, pari ad un limite - ovviamente derogabile - del 60% come rapporto tra debito e PIL. E’ importante tenere conto che le manovre di correzione per le quali deve essere richiesta la procedura di autorizzazione alla Commissione Europea sono tarate sul valore del 60%, parametro oramai abbastanza anacronistico a livello mondiale (debito/PIL: 80%, su dati Fondo Monetario Internazionale relativi a circa 180 paesi). Le vere differenze, quindi, sono nella struttura dei tassi, su cui si è detto già molto, e sulla struttura dei sistemi bancari, su cui si può dire ancora qualcosa.
La recente vicenda di Cipro ha spostato l’attenzione dal problema del debito al problema del funzionamento dei sistemi bancari. Sebbene le banche cipriote detenessero quote rilevanti di debito greco, l’origine della difficoltà risiede nella dimensione anomala del sistema bancario rispetto sia all’economia e che alle risorse patrimoniali. Da questo punto di vista le distanze tra paesi sono molto più marcate. Prendiamo un semplice indice (Equity Ratio: Tangible Equity/Tangible Assets) dato dal rapporto tra patrimonio e attivo, entrambi alleggeriti delle parti immateriali. Negli Stati Uniti la FDIC (Federal Deposit and Insurance Corporation, l’ente che assicura i depositi bancari) sta ragionando su un valore indicativo del 5% (suggerito anche dall’OCSE), ritenendolo più idoneo ad evitare l’insorgere di fragilità sistemiche ed ad incentivare comportamenti virtuosi delle banche nell’assunzione di rischi quantitativamente eccessivi, lasciando alle singole banche la valutazione della tipologia di attivi da detenere in portafoglio.
Il sistema bancario italiano (dati BCE) già rispetta stabilmente questo indicatore di solidità mentre Francia e soprattutto Germania segnalano ancora una eccessiva dimensione dei propri attivi rispetto alle risorse patrimoniali delle banche. Essendo gran parte del sistema bancario tedesco controllato da enti pubblici (ad esempio le Regioni) appare singolare che la riconosciuta forza e solidità del sistema finanziario tedesco si traduca a livello bancario in una fragilità patrimoniale che l’Italia non vive, grazie anche alla diversa tipologia di azionariato. Se dovessimo guardare alle sole banche principali (due italiane, due tedesche e tre francesi), un paio non raggiungono neppure il limite del 3% di Equity Ratio imposto dalle nuove regole di Basilea III, altre tre sono sotto il 4% mentre le due italiane sono prossime o ben sopra il 5% Dove l’Italia è maggiormente sotto pressione è dal lato delle sofferenze a causa della fase di perdurante recessione.
Volendo proseguire nel ragionamento, se può essere comprensibile (ma non oltre una certa misura, date le premesse) distanziarsi dall’eccesso di debito pubblico italiano, diventa meno comprensibile la mancata accettazione della migliore condizione patrimoniale delle banche italiane le quali dovrebbero in realtà godere di migliori parametri di affidabilità e, di conseguenza, attrarre maggiori risorse sul mercato interbancario e dei capitali permettendo la ripresa degli affidamenti e facilitando l’uscita dalla recessione. Non vorremmo mai che i correntisti russi di Cipro o la visibilità dei depositi austriaci restino aneddoti che impediscano l’effettiva attivazione del processo di unificazione bancaria.
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