Dall’Inghilterra è rimbalzata in Italia l’idea di abbassare il prezzo dei carburanti riducendo le imposte (=le accise). Sembra un’operazione sensata, o, se si preferisce, facilmente vendibile sul mercato politico. Pagando meno il carburante non si riducono i consumi di beni non durevoli e durevoli. Ossia, uno va in pizzeria con i soldi risparmiati e si compra pure l’auto nuova, perché non teme che andare a zonzo gli costerà troppo.

Esiste un’argomentazione opposta, che giustifica un prezzo alla pompa alto. Essa ha una struttura logica molto semplice. 1) Una fonte energetica non rinnovabile prima o poi finisce e dunque il prezzo dell’energia di origine fossile salirà nel corso del tempo. 2) Nessuno compra un’automobile oggi pensando che fra qualche decennio il carburante costerà moltissimo; l’orizzonte del consumatore è limitato a qualche anno. 3) Ma se il carburante costasse molto oggi, sarebbe più probabile che il consumatore finisca per comperare un’automobile che ne consuma poco; il consumatore contribuirebbe a rallentare l’esaurimento delle riserve e quindi a frenare la crescita del prezzo nel futuro. 4) In più, il consumatore spennato dalla pompa contribuirebbe alla diffusione della democrazia: se, infatti, le automobili statunitensi consumassero come quelle europee e giapponesi, vi sarebbe una minor domanda di petrolio, pari, per esempio, alla produzione iraniana. Venendo meno le rendite petrolifere, i paesi autoritari dovrebbero promuovere l’esistenza delle imposte, e, come si sa, no taxation without...