Continuiamo con la rubrica dove ragioniamo sulle maggiori notizie di cronaca. Questa settimana gli argomenti maggiori sono: 1) il debito che cresce nel mondo e il salvataggio delle banche italiane, 2) l'estensione della mano pubblica, 3) l'uso della leva del debito da parte delle imprese statunitensi quotate.

La balance-sheet recession e le banche italiane

Molti sono preoccupati per i livelli crescenti di debito – pubblico, delle imprese, delle famiglie – soprattutto dei Paesi emergenti. Alcuni paventano che si possa finire in una recessione da debito: la “balance-sheet recession”. L'espressione fu inventata negli anni Trenta negli Stati Uniti e poi ripresa, decenni dopo, per spiegare le ragioni della persistente stagnazione giapponese e della sua eventuale cura.

Che cosa è la balance-sheet recession? Possiamo, con linguaggio colorito, definirla come “sciopero del debitore”. In altre parole, nessuno vuole del credito, qualunque sia il tasso d’interesse praticato, perché deve rendere il troppo debito cumulato. Nel caso giapponese degli anni Novanta erano le imprese non finanziarie a non volere il credito, e, se nessuno vuole il credito, l’economia non funziona. In questo caso, non sono i tassi per quanto bassi che possono ravvivare la richiesta di credito. La politica monetaria dunque è spiazzata. Resta così la spesa pubblica in deficit – quindi la politica fiscale - per salvare le cose. La si incrementa fino ad assorbire la riduzione di quella privata. Ossia, il maggior debito pubblico bilancia il minor debito privato. I finanziamenti che andavano al settore privato ora vanno a quello pubblico. Il fabbisogno finanziario dello Stato non spinge al rialzo i rendimenti delle obbligazioni, perché il settore privato non chiede, fin tanto che deve ridurre il proprio debito, capitali al mercato. La sua massima applicazione si è avuta in Giappone.

Si può immaginare una versione specifica per l'Italia. Il debito delle imprese e delle famiglie è – diversamente da quello pubblico - relativamente modesto e quindi esse non rifuggono dal credito, ma le banche devono fare degli accantonamenti per coprire i cattivi crediti cumulati. In Italia non abbiamo perciò lo “sciopero del debitore”, ma quello “del creditore”. Da qui l'importanza di risolvere il problema delle banche e sul fronte della capitalizzazione e sul fronte dei cattivi crediti.

Una crisi bancaria ha effetti tanto maggiori quanto minore è il capitale di rischio delle banche. Se questo è sufficiente, oppure se è facile varare aumenti del capitale, perché c'è chi vuole diventare socio, allora non succede nulla. Se è insufficiente, ed è difficile varare degli aumenti del capitale, perché nessuno vuole diventare socio, allora esso evapora, e la copertura delle perdite avviene con il coinvolgimento degli obbligazionisti meno protetti, quelli che posseggono le “subordinate”. Se poi, e qui ci stiamo avvicinando al caso limite, le perdite fossero ancora maggiori, ecco che verrebbero coinvolte le obbligazioni più protette (le “senior”), e poi, se anche questo non bastasse, sarebbero colpiti addirittura i depositi sopra i cento mila euro. Questo è il “bail-in”, ossia il salvataggio delle banche senza il coinvolgimento statale.

Ultimamente – sempre in Italia - per scongiurare il bail-in di alcune banche, che potrebbe alimentare una crisi di fiducia verso tutto il sistema, è stato messo a punto un piano di aiuti attraverso un veicolo che ha il nome di Atlante. In questo caso, invece del bail-in si ha un bail-out delle banche in crisi, che non vede coinvolta se non in misura modesta la mano pubblica, ma le banche maggiori ed il mercato finanziario. Per approfondire: (1).

1 - http://bruegel.org/2016/02/hard-times-for-italian-banks/#.VsSV8xuUXlw.twitter

L'estensione della mano pubblica

La Banca Centrale del Giappone investe in borsa attraverso gli ETF. Il Fondo Pensioni statale del Giappone altrettanto. Insieme si stima che posseggano il 10% della borsa. Si ha così un corrente di acquisti che possiamo definire “non di mercato”, nel senso che questi acquisti sono fatti per “tirar su” le quotazioni, contando di evocare l'”effetto ricchezza”. Vale a dire, le famiglie sentendosi più ricche, consumano di più. Oltre agli acquisti di azioni, si hanno quelli di obbligazioni emesse dal Tesoro. Insomma, in Giappone i mercati finanziari sono sempre meno “mercatisti” e sempre “dirigisti”. Nel caso degli acquisti della banca centrale il loro ETF investe nella imprese maggiori quotate. Ciò che, se, da un lato, rende più liquidabile la posizione, dall'altro penalizza le imprese minori, quelle più difficilmente liquidabili, che non sono oggetto degli acquisti.

Gli acquisti pubblici di titoli privati (le azioni) e pubblici (i titoli del Tesoro) non è una caratteristica solo nipponica. A parte gli acquisti di titoli del Tesoro fatti in passato dalla banca centrale degli Stati Uniti e del Regno Unito, oggi abbiamo gli acquisti della banca centrale dell'Euro-zona, oltre che del Giappone. Gli acquisti di azioni ci sono stati, ma, a differenza di quelli nipponici, erano limitati a situazioni eccezionali. Negli Stati Uniti l'acquisto di titoli bancari per 250 miliardi di dollari dopo la crisi di Lehman. (Questo investimento ha reso al Tesoro 30 miliardi di dollari quando è stato chiuso). A Hong Kong l'acquisto da parte della mano pubblica di 15 miliardi di dollari di azioni durante la crisi asiatica del 1998. (La vendita di azioni e la conversione in altre valute del loro controvalore metteva in crisi la parità del cambio col dollaro, per cui, per difendere il cambio, erano comprate le azioni). Alcuni pensano che la politica monetaria ultra-espansiva (tassi nulli e negativi e acquisto di titoli dei Tesori) della Banca Centrale Europea sia insufficiente. Andrebbero acquistati – secondo questo punto di vista – anche i mutui ipotecari, le obbligazioni bancarie, e persino le azioni (2).

Insomma, i mercati finanziari formano (e formeranno in misura addirittura maggiore, secondo alcune proposte) i prezzi sotto l'influenza della mano pubblica. Con l'espressione “mercati” solitamente si indica l'attività di scambio di titoli fra soggetti che hanno idee diverse sul futuro senza che nessun operatore sia in grado di influenzare i prezzi. Così non è più, perché si ha un operatore che influenza i prezzi molto più di chiunque altro. Se così non fosse, l'industria finanziaria non rimarrebbe “col fiato sospeso” prima e durante le riunioni delle banche centrali, e neppure leggerebbe il comunicato stampa con attenzione certosina (3).

2 - http://www.bloomberg.com/news/articles/2016-04-27/jpmorgan-sees-draghi-as-buyer-of-last-resort-for-stock-market

3 - http://alephblog.com/2016/04/27/redacted-version-of-the-april-2016-fomc-statement/

L'uso della leva del debito

Le imprese (non finanziarie) statunitensi registrano una crescita nulla del margine operativo lordo, mentre incrementano il debito. Al cash flow caratteristico si aggiunge così la crescita del debito, debito che costa poco per effetto delle politiche monetarie ultra-espansive. Il cash flow e il nuovo debito piuttosto che finanziare gli investimenti reali finiscono nell'acquisto di azioni e nella distribuzione dei dividendi. Riducendosi il numero di azioni cresce – a parità di profitti - il profitto per azione (EPS=Earning per share). Le azioni paiono così meno care, oppure più attraenti. Inoltre sono aumentati i dividendi, che rendono le azioni attraenti rispetto alle obbligazioni, che da anni hanno ormai dei rendimenti piuttosto modesti. Questa macchina “virtuosa”, che ha, negli ultimi anni, alimentato la crescita dei corsi azionari, incomincia a mostrare delle (leggere) crepe (4). Le imprese che comprano le proprie azioni e distribuiscono dei dividendi elevati non sono più viste come magnifiche “vacche da mungere” (cash cows), ma piuttosto come imprese che non hanno dei grandi progetti. Se li avessero investirebbero, infatti, in nuovi prodotti, nuovi impianti, e via andando. Ossia, per usare il linguaggio dei consulenti, queste imprese non sono giudicate come delle potenziali “stars”, ma come dei potenziali “dogs”.

4 - https://next.ft.com/content/92efa126-0ba4-11e6-b0f1-61f222853ff3