Tra la massa di numeri che emerge da qualunque competizione elettorale merita qualche attenzione il dato sull’affluenza al voto. Questa analisi non fornisce informazioni di natura strettamente politica ma piuttosto può visualizzare l’atteggiamento dell’elettorato di fronte al quesito su cui è stato chiamato ad esprimersi secondo lo strumento principe dei sistemi democratici, il voto. 

Anche in questo caso si possono individuare informazioni interessanti. Dal sito del Parlamento europeo (*) si possono ricavare i dati dal 1979, nascita dell’istituzione, ad oggi ovvero quarant’anni esatti. Ai primi nove paesi del 1979 nel corso del tempo si sono aggiunte altre nazioni fino agli attuali 28 membri, periodo durante il quale si sono svolte nove consultazioni elettorali, una ogni cinque anni.

Rispetto al 1979 l’affluenza, misurata come rapporto tra votanti ed aventi diritto al voto, è scesa dal 62% al 51% del 2019. Quest’ultimo dato rappresenta un netto miglioramento rispetto al 2014 quando si toccò il minimo storico del 43%. Spacchettando i dati si possono ottenere alcune informazioni aggiuntive. La media dei nove paesi presenti sin dalla nascita è sempre superiore al dato effettivo – dal 66% al 59% -, segno di un particolare attaccamento da parte dei primi entranti rispetto ai successivi partecipanti.

Se si utilizza la media delle affluenze per i tutti i paesi si ottengono valori superiori al dato effettivo fino al 2014 mentre solo nel 2019 il valore medio è inferiore – si passa dal 66% del 1979 al 49% del 2019 (**). Questa novità dice che la maggiore partecipazione al voto tende a concentrarsi in alcune aree mentre tende a ridursi in realtà di minori dimensioni o periferiche. I paesi entrati dopo il 1979 registrano un netto miglioramento rispetto al 2014 ma continuano ad essere meno sensibili al voto europeo rispetto ai primi 9 paesi.

Scendendo nel particolare, l’affluenza tedesca è cresciuta di 13 punti, quella francese di 8 punti, Polonia e Spagna oltre i 20 punti. Solo otto paesi hanno registrato una flessione rispetto al 2014 tra cui Bulgaria, Irlanda, Italia, Portogallo e Grecia. Nel caso dell’Italia, il 55% di affluenza rappresenta il minimo storico, essendo partita nel 1979 con l’86% di affluenza, valore quest’ultimo simile a quello che ancora oggi esprimono i due paesi sedi delle istituzioni europee, Belgio e Lussemburgo (***).

Una osservazione si può fare sulla percentuale di affluenza del Regno Unito. Storicamente è sempre stata bassa, con un minimo del 24% nel 1999 e un massimo del 39% appena cinque anni dopo, nel 2004. Nel 2019 è stata del 37% crescendo di un punto rispetto al 36% del 2014. A questo punto è difficile pensare che un eventuale nuovo referendum sulla Brexit avrebbe cambiato le cose. Probabilmente queste elezioni sono state implicitamente una ultima prova su questo tema e sembra che gli elettori britannici non abbiano cambiato idea, peraltro osservazione particolarmente ovvia alla luce della vittoria del Brexit Party. Solo una percentuale decisamente superiore rispetto al passato avrebbe potuto far pensare ad un cambiamento di opinione dell’elettorato inglese rispetto alla UE. 

(*) https://risultati-elezioni.eu/affluenza/tima

(**) La media delle affluenze dei singoli paesi è diversa dall’affluenza effettiva, pari al rapporto tra totale votanti UE e totale aventi diritto al voto UE. Un esempio:

Paese 1 con 100 aventi diritto al voto e 40 votanti: affluenza 40/100=40%.

Paese 2 con 10 aventi diritto al voto e 6 votanti: affluenza 6/10=60%.

L’affluenza effettiva è: (40+6)/(100+10)= 42%. L’affluenza media è: (40+60)/2=50%. Nella tabella la riga ‘Totale UE’ indica l’affluenza effettiva. La riga ‘Media-Totale’ indica la differenza tra la media delle affluenze e l’affluenza effettiva.

(***) Belgio, Lussemburgo, Grecia e Cipro sono gli ultimi paesi dove il voto è obbligatorio. In Italia l’obbligatorietà non c’è più dalle elezioni del 1994.

 

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