Sembra da ieri che la crisi egiziana abbia intrapreso un percorso non cruento, e perciò è tornato l’«appetito per il rischio» sui mercati finanziari. Appetito che però potrebbe svanire appena le cose prendessero una piega cruenta. Oppure una piega non cruenta ma oscura, come una eventuale successione a Mubarak che alla fine porti in auge i cosiddetti fondamentalisti.


L’importanza dell’Egitto è politica, non economica: esso produce meno dell’1% del petrolio mondiale, e dal Canale di Suez transita solo l’1% del petrolio mondiale. L’importanza dell’Egitto è legata agli equilibri nel mondo arabo. Ma partiamo da lontano.

Intanto, la povertà: il consumo di beni di prima necessità è pari a circa la metà del reddito. Questo rende l’Egitto particolarmente vulnerabile all’ascesa del prezzo del grano. Inoltre, l’Egitto è il paese che importa più grano al mondo: circa la metà del fabbisogno. Poi, l’emarginazione: circa un terzo degli uomini e circa la metà delle donne sono analfabeti. Infine, i costumi atavici: quasi tutte le donne sono state lese nei propri organi genitali, nonostante il governo abbia proibito da tempo l’infibulazione.

Oltre alla povertà, abbiamo dunque la vulnerabilità: l’Egitto esporta poco e importa molto. Il saldo commerciale negativo è coperto dagli introiti del turismo e dalle rimesse degli emigranti. In caso di tensioni politiche protratte, gli introiti del turismo verrebbero meno e la moneta si svaluterebbe, una volta terminate le riserve valutarie. Perciò, nel caso di un’ulteriore ascesa del prezzo del grano, che è denominato in dollari, si avrebbe un acuirsi della crisi alimentare. A meno che il governo non copra la differenza fra il maggior prezzo del grano e il prezzo praticato. In quest’ultimo caso, aumenterebbero le spese pubbliche e quindi, a parità di entrate, il debito pubblico.

Infine, abbiamo la disoccupazione intellettuale, che nelle cronache ha grande rilievo perché i manifestanti che sono intervistati solitamente parlano un inglese elementare, mentre gli altri tacciono. Finisce così che si sopravvaluta la quantità di persone istruite che sono disoccupate, e si pensa che esse siano davvero istruite. Quelle davvero istruite sono emigrate, e quelle che sono rimaste hanno un livello di istruzione che è elevato per i titoli che si possono esibire, ma basso per la qualità degli studi.

La produttività dell’agricoltura egiziana – un mito dal tempo dei Faraoni, passando per l’Impero romano fino a quello bizantino – sarà stata senz’altro molto elevata quando gli abitanti erano pochi – e quindi l’Egitto poteva esportare – e le tecniche agricole del resto del mondo elementari – perciò bastava canalizzare il Nilo per avere un vantaggio nella produzione. Oggi la produttività egiziana è pari a un quinto di quella statunitense delle zone migliori. L’Egitto, la cui popolazione è cresciuta moltissimo, dipende quindi dalle importazioni di grano. Il prezzo del grano è però diventato decisamente volatile.

La produzione di grano nel mondo cresce con grande regolarità da decenni. Ogni tanto flette, ma poco – intorno al 3%. Il prezzo del grano è, infatti, rimasto abbastanza stabile dal 1980 fino al 2005. Poi ha iniziato a balzare. Tre anni fa è triplicato, poi è sceso e di nuovo triplicato. Come mai? Come mai, a fronte di piccole variazioni della produzione, appunto nell’ordine del 3%, si hanno prezzi che triplicano? Quando il prezzo di un bene sale, la caduta della domanda ne frena l’ascesa. Oggi, anche se il prezzo sale, la domanda non scende. E non scende perché gli asiatici sono ormai diventati ricchi. Diventati ricchi, consumano di più, anche in maniera indiretta. Ci vogliono sette unità di grano per avere un’unità di carne. Il prezzo del grano in ascesa non è un problema per chi è ricco: egli rinuncia ad altri consumi e paga molto il grano. Se il cattivo raccolto russo frena l’offerta, c’è chi offre un prezzo elevato per continuare ad avere lo stesso quantitativo di grano. I paesi ricchi – i paesi atlantici e alcune parti dell’Asia – sono indifferenti al prezzo del grano, mentre i paesi mussulmani poveri ne subiscono le conseguenze.

In Egitto non si è avuta una rivolta legata al grano, ma l’importanza del grano è una vulnerabilità. L’importanza politica dell’Egitto è il suo essere un architrave sunnita, insieme alla Turchia e all’Arabia Saudita. Gli sciiti sono in Iran e nelle zone petrolifere dell’Iraq e dei paesi della Penisola Arabica. Inoltre, l’Egitto ha riconosciuto da molto tempo Israele. E dunque l’«effetto contagio» delle vicende egiziane potrebbe alimentare l’instabilità regionale, di cui potrebbero approfittare gli iraniani.

Non solo. I mercati finanziari forse stanno scoprendo, meditando sulla vicenda egiziana, che i paesi in via di sviluppo certamente crescono molto, ma non sono politicamente stabili come i paesi sviluppati. Il premio per assicurarsi contro l’insolvenza dei debiti emessi dai Tesori – i famigerati credit default swaps – erano, infatti, addirittura diventati eguali nel caso della Francia e del Perù, del Belgio e del Brasile, dell’Austria e della Cina. Questi premi, visti alla luce della vicenda egiziana, paiono frutto di «esuberanza irrazionale».
 

 

I numeri sono stati ricavati da:

http://www.atimes.com/atimes/Middle_East/MB02Ak01.html