Sul Corriere Economia del 20 maggio, Sergio Rizzo lamenta che per le nostre centrali nucleari, a un quarto di secolo dal referendum dell’87, i contribuenti italiani continuino a versare un fiume di quattrini. Secondo vari calcoli, nel complesso l’uscita dal nucleare verrà a costare all’Italia la cifra astronomica di oltre 15 miliardi di euro.
Il giornalista denuncia giustamente alcuni clamorosi sprechi da parte della Sogin, la società pubblica incaricata dello smantellamento degli impianti, quali l’apertura di una sede a Mosca con l’impegno di smaltire i sottomarini atomici ex-sovietici, la partecipazione alla Fiera del libro usato per la modica cifra di un milione e mezzo di euro, la presenza nel 2011 di 887 dipendenti, addirittura 71 in più rispetto a due anni prima. Rizzo segnala soprattutto il fatto che nel 2012 gli indennizzi per la mancata entrata in funzione della centrale di Montalto di Castro ammontavano a 11,5 miliardi di euro, più del doppio della cifra che era stata stimata “congrua” agli inizi degli anni Novanta.
Dunque se costruire nuove centrali è estremamente problematico, uscire dal nucleare è un processo lungo, difficile e soprattutto costoso.
Queste doverose denunce giornalistiche impongono una riflessione sul nodo di fondo della questione, cioè sulla economicità o meno della fissione nucleare per la produzione di energia elettrica. L’energia nucleare a buon mercato e alla portata di tutti è definitivamente archiviata come una tipica utopia degli anni ’50. Il suo peggior nemico non è costituito dalle paure della “gente” o dall’agitazione degli ambientalisti, bensì dai costi di costruzione delle nuove centrali, sempre più elevati: in un regime di libero mercato, crescono i dubbi sulla loro effettiva convenienza.
L’esempio più significativo è rappresentato dalla centrale di Olkiluoto, in Finlandia, progettata per la fornitura di 1.600 mega watt. Doveva essere un “gioiellino” di nuova generazione, la più sicura in assoluto, invece l’inaugurazione inizialmente prevista per il 2009 è slittata prima al 2011, poi al 2013, poi ancora a chissà quando. Nel frattempo i costi sono raddoppiati da 3 a 6 miliardi di euro, aprendo un enorme contenzioso fra l’impresa costruttrice (il gigante francese Areva) e l’azienda elettrica finlandese TVO, proprietaria del sito.
Nel valutare quanto costa produrre elettricità con l’energia nucleare, vanno considerati i costi complessivi: quelli iniziali per l’estrazione, la raffinazione, il trattamento e il trasporto dell’uranio, quelli enormi per la costruzione delle centrali e quelli finali – difficili da stimare – per la dismissione degli impianti (una centrale nucleare ha un tempo di vita massimo di 60 anni) e per lo smaltimento dei rifiuti tossici e radioattivi. Secondo Lazard, già nel 2009 produrre elettricità tramite il nucleare era il secondo sistema più caro al mondo, dopo il fotovoltaico. Uno studio successivo della Duke University (2010) sostiene che anche l’energia solare, i cui costi dovrebbero scendere sotto i 16 centesimi al chilowattora, potrebbe presto risultare più conveniente del nucleare, almeno negli Usa. Se i costi del nucleare continuassero a lievitare e quelli del solare a calare, lo storico “sorpasso” potrebbe essere imminente.
Attualmente nel mondo sono in funzione 437 reattori nucleari, in 30 paesi. Gli Stati Uniti, che non hanno più costruito alcun nuovo reattore dal 1984, dopo l’incidente di Three Mile Island, detengono tuttora il primato con 104 reattori, seguiti da Francia (58) Giappone (50) Russia (33) e Sud Corea (23). Queste centrali forniscono circa il 13% della produzione mondiale di energia elettrica.
Nel 2011, l’anno di Fukushima, sono entrati in funzione nel mondo solo 4 nuovi reattori, contro i 16 dell’anno precedente. Nel biennio 2011-12 i nuovi reattori sono stati 9 (in Cina, Sud Corea, Russia, India, Pakistan, Iran) mentre di altri 7 è iniziata la costruzione. Sono 15, per contro, quelli che hanno cessato di funzionare in Germania, Regno Unito e Giappone (questi ultimi sono i 4 di Fukushima).
La corsa al nucleare è destinata a riprendere vigore, soprattutto in Asia. Secondo i dati ufficiali, sono in costruzione nel mondo 64 nuovi reattori, per una potenza complessiva di 62.000 mega watt. E’ la Cina tirare la volata: i 14 reattori attualmente in funzione coprono solo il 2% del fabbisogno di elettricità, ma i cinesi stanno fabbricando altri 26 reattori. Anche Russia (10) India (7) e Corea del Sud (5) stanno facendo altrettanto.
L’incidente di Fukushima, occorso nel paese più attrezzato al mondo nell’affrontare le catastrofi naturali, ha svelato l’impotenza di chi ha gestito la crisi nel peggiore dei modi. Secondo gli esperti, ci vorranno alcuni anni per mettere in sicurezza la centrale, 10 anni per raccogliere i detriti, 30 anni per smantellare l’intero impianto e altri 30 per bonificare completamente l’area dalle radiazioni. Le conseguenze della catastrofe sarebbero state infinitamente più gravi se il vento, invece di soffiare in direzione dell’oceano, avesse portato la nube radioattiva a Tokyo, nella cui area vivono 35 milioni di abitanti.
Per quanto riguarda gli orientamenti europei, ancora di recente i sondaggi presentano un’opinione pubblica convinta che la scienza “migliori le condizioni di vita” (66%) e che possa garantire “maggiori opportunità in futuro” (75%); ma la maggioranza degli europei (58%) giudica gli scienziati “non credibili”, in quanto “condizionati” se lavorano al servizio di imprese private. Secondo gli analisti della Deutsche Bank, l’impatto generale dell’incidente di Fukushima costituisce “un punto di non ritorno nella percezione pubblica delle fonti energetiche”, un fatto che orienterà sicuramente gli investimenti verso il settore delle energie rinnovabili.
Questi e molti altri dati, informazioni e considerazioni interessanti sull’energia nucleare sono contenuti in un agile saggio di Giancarlo Sturloni, “L’atomo diviso – Storia scienza e politica dell’energia nucleare” (200 pagine, Sironi Editore). L’autore, un fisico e divulgatore, docente di Comunicazione del rischio all’Università di Trieste, spiega in dettaglio i tragici incidenti di Chernobyl e Fukushima, prospetta come lontanissima nel tempo – forse al prossimo secolo - la conquista delle centrali a fusione, boccia senza appello la cosiddetta fusione fredda e liquida come “una leggenda metropolitana” la possibilità di una bomba atomica fatta in casa, a opera di qualche scienziato pazzo o aspirante terrorista.
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