Da tempo sosteniamo la tesi di un possibile "risucchio" populista a destra e a sinistra. Insomma, di un nuovo bipolarismo dove a destra si avrebbe la Lega che fagocita Forza Italia, e a sinistra il M5S che fagocita il PD. Si avrebbe per effetto di questa dinamica una visione diversa della distribuzione dei redditi. Quella - populista - che sceglie una maggior distribuzione per ragioni di equità su base nazionale se di destra, o sociale se di sinistra. Quella liberale, non ancora palesatisi, che sceglie una maggior distribuzione del reddito per ragioni di opportunità. Qui proviamo a delineare i contorni della vicenda.

Il punto di vista maggioritario su quel che sta accadendo nei Paesi democratici di capitalismo avanzato dipinge un quadro fosco. Molto semplificato esso si articola così. Si ha uno Stato che si è indebolito e per la diffusione delle idee neo-liberali e per la globalizzazione. Questi due accadimenti sono all'origine di un mercato del lavoro molto meno protetto nei Paesi emersi e della concorrenza della manodopera poco pagata di quelli emergenti. Come conseguenza è cresciuta la disuguaglianza, che non è stata contrastata da una maggior redistribuzione, perché, semmai un governo osasse perseguirla, vi sarebbe una fuga dei capitali. Dalla premessa emerge il mondo delle oligarchie cosmopolite annegate nel mare delle diseguaglianze che vivono nelle metropoli circondate da una manodopera emigrata che, svolgendo i lavori umili, ne addolcisce la vita. Da qui la “rivolta contro le élites”, alias il Populismo. Da qui le accuse alla Sinistra di aver “tradito” i meno abbienti. In quanto esposto si possono ritrovare sia le polemiche politiche “spicce”, sia dei ragionamenti molto articolati.

Il punto di vista minoritario su quel che sta accadendo nei Paesi democratici di capitalismo avanzato dipinge un quadro diverso. Molto semplificato si articola così. Vi è stata sì una spinta dalle idee neo-liberali e della globalizzazione, ma questi due accadimenti hanno dato luogo ad un fenomeno nuovo: “l'economia della conoscenza”. Laddove abbiamo una numero crescente di cittadini ad alta istruzione, delle economie molto aperte all'estero con un alto tasso di finanza, nonché liberalizzate in misura crescente. Al centro del nuovo sistema - come classe sociale di maggior peso e come referente politico - non abbiamo gli onnipotenti plutocrati, ma le persone ad alta istruzione.

Questa classe può essere immaginata come una riedizione occidentale dei bramini. Per tornare alle polemiche, la Sinistra nei Paesi democratici di capitalismo avanzato è la parte politica dei bramini, non più dei meno abbienti. I numeri della trasformazione “indiana” della Sinistra occidentale si trovano nel libro di Thomas Piketty, Capitale et Idéologie, Seuil, 2019.

Osservando la distribuzione del reddito nel passaggio dall'economia fordista – quella delle grandi aggregazioni di fabbrica del secolo scorso - all’economia della conoscenza – quella che si sta diffondendo con forza - emerge quanto segue. Una concentrazione molto ineguale dei redditi all'inizio – appena dopo la Seconda guerra - e alla fine del periodo – a partire dagli anni Ottanta - con un periodo intermedio di eguaglianza relativa – i cosiddetti “Trenta gloriosi”.

Il punto di vista maggioritario - per ragioni di “equità” - vuole tornare alla distribuzione fordista, quindi vuole un’eguaglianza spinta dall’equità, mentre quello minoritario non sembra essere interessato ad una maggiore eguaglianza per ragioni di equità nella distribuzione dei redditi. Anche il secondo punto di vista potrebbe però giungere ad una conclusione a favore di una maggiore redistribuzione dei redditi - quindi di maggiore eguaglianza, ma non per ragioni di “equità”, bensì di “opportunità”.

Come sui può articolare la tesi che vada promossa una maggiore eguaglianza ma non per ragioni di equità, il punto di vista che abbiamo etichettato come opportunità? Il perno è la “mobilità sociale”. L’idea è che mobilità sociale, stabilizzando la classe media moderna che sta crescendo nell’economia della conoscenza, trascini un maggior egualitarismo. L’argomento è approfondito da T. Iversen, D. Soskice, Democracy and Prosperity, Princeton and Oxford, 2019.

La mobilità lega gli interessi delle diverse classi di reddito. Quelli all'estremità inferiore possono pensare ad una ascesa sociale propria e dei propri figli, mentre quelli all'estremità superiore possono pensare ad una discesa sociale propria e dei propri figli. Questa duplice logica della mobilità sociale crea una comunanza di interessi, laddove si possono seguire anche delle linee di classe, ma senza l'intensità che si avrebbe se tutti fossero fermi alla condizione di partenza. In un mondo ad alta mobilità “le classi sociali sono come i grandi alberghi, sempre pieni, ma di gente sempre diversa” (Schumpeter).

Ora immaginiamo che la mobilità sociale si blocchi, perché chi, ancora appartenente alla classe media, ma con poche competenze, si trovi, per come funziona l'”economia della conoscenza”, nella condizione di scivolare verso il basso. Da un lato costoro cercheranno di ottenere un'integrazione del proprio reddito con il trasferimento – attraverso le imposte – di una parte del reddito dai ceti che hanno le competenze e quindi il reddito, ai quali, peraltro, non possono sperare di unirsi; d'altro non vedono una comunanza di interessi con quelli che stanno in fondo, come gli immigrati. Se la mobilità verso l'alto è vista come impossibile, e gli immigrati sono visti come dei concorrenti indesiderati, ecco che è alimentata una mentalità da “giochi a somma zero”.

Nel Bel Paese si hanno due progetti, quello della distribuzione per equità e quello per opportunità. Il primo non promuove lo sviluppo, ma distribuisce il reddito più o meno stagnante, il secondo, che deve palesarsi, vuole lo sviluppo per redistribuire il reddito.

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