Nell'ultimo ventennio Belgrado ha conosciuto la guerra, i bombardamenti NATO, le sanzioni economiche, ed una notevole iperinflazione. A quasi tredici anni dalla caduta del regime, oggi la Serbia è un Paese al bivio. Se da una parte essa non può ancora apporre la parola 'fine' all'era Milošević, dall'altra si sta gradualmente avvicinando all'Europa. E, soprattutto, all'Italia.

Il quotidiano 'Politika' di Belgrado, uno dei principali del Paese, proprio in questi giorni ha intervistato il vicepresidente della casa editrice 'Forbes', Christopher Forbes. Il tema? Migliorare l'immagine della Serbia agli occhi degli investitori internazionali. "È necessario che questo cambiamento avvenga nel minor tempo possibile", dichiarava l'intervistato, che giudicava "l'impresa tutt'altro che difficile ". In realtà, solo l'anno scorso proprio Forbes aveva inserito la Serbia al novantesimo posto nella lista delle nazioni più appetibili per le imprese straniere, ultima tra quelle balcaniche. Colpa, sicuramente, dell'involuzione del discorso politico avvenuta a partire dall'elezione di Tomislav Nikolić alla presidenza, nel maggio del 2012, delle polemiche che hanno incrementato la tensione tra Zagabria e Belgrado, e del non risolto problema del Kosovo che ancora pesa sull'immagine del Paese.

La nomina di Nikolić a Presidente della Repubblica non ha giovato all'immagine internazionale del Paese. Già all'indomani della propria investitura, egli aveva cominciato a riaprire le tensioni che gli anni del proprio predecessore, Boris Tadić, avevano contribuito a sedare. Gli argomenti sono quelli noti: il “negazionismo” nel caso delle città di Vukovar e Srebrenica, martirizzate dalle milizie serbe e jugoslave durante la guerra; il ribadire che "il Kosovo è il cuore della patria serba"; gli appelli ai fratelli della 'Republika Srpska', la metà serba della confinante Bosnia Erzegovina, affinché non si sentano soli e continuino a sperare nella riunificazione con Belgrado.

Bordate pesanti, capaci di annullare agli occhi dell'opinione pubblica la credibilità costruita faticosamente dalla Serbia democratica. La nomina di Ivica Dačić, portavoce di Slobodan Milošević durante il regime, a primo ministro non ha certo contribuito a migliorare le cose.

Oltre alle difficoltà politiche, occorre aggiungere che lo stato dell'economia serba non è eccellente. Il Paese deve confrontarsi con un alto tasso di disoccupazione, cresciuto vertiginosamente nel corso dell'ultimo lustro (dal 13,8% del gennaio 2008 al 25% del gennaio 2013, secondo i dati diffusi dall'ufficio di statistica nazionale); con una crescente miseria diffusa soprattutto nelle zone rurali (il 9,2% della popolazione vive al di sotto della soglia di povertà) e con l'inflazione che continua a erodere, progressivamente, il valore del dinaro.

Nonostante queste difficoltà, tuttavia, gli anni più recenti hanno visto un notevole incremento dell'interesse, da parte delle imprese estere, al mercato serbo. Negli ultimi cinque anni, il Paese ha attirato circa 12 miliardi di euro in investimenti stranieri. Nel solo 2011, la cifra è stata di 2,12 miliardi, secondo la Conferenza delle Nazioni Unite per il commercio e lo sviluppo, che ha sottolineato come la performance di Belgrado sia di fatto la migliore nell'intera area economica dell'Europa sudorientale. Le ragioni per questo trend decisamente incoraggiante sono da ricercare principalmente in due fattori, il minor costo del lavoro unito alla possibilità di importanti mercati di sbocco: grazie agli accordi commerciali conclusi da Belgrado, infatti, la Serbia rappresenta un punto d'accesso al 15% del mercato mondiale.

Se n'è accorta l'opinione pubblica italiana, soprattutto grazie alle notizie che quasi quotidianamente provengono da Kragujevac, dove la Fiat ha de-localizzato la produzione di alcuni modelli tra i quali, soprattutto, la nuova 500L, investendo oltre un miliardo di euro nella rivitalizzazione dello stabilimento dove in passato veniva prodotta la Zastava, piccola leggenda dell'auto made in Jugoslavia. La casa automobilistica italiana rappresenta un partner importantissimo per l'economia serba, dal momento che proprio questo settore potrebbe avere un ruolo cardine nella ripresa economica del Paese. Secondo le stime del Ministro delle finanze, Mladjan Dinkić, le esportazioni dovrebbero aumentare del 25% nel corso del 2013, con l'industria automobilistica a trainare, per oltre il 20% del totale, il commercio con l'estero. Nel complesso queste cifre fanno sperare alla Serbia di poter tornare a crescere: dopo essere diminuito di circa il 2% nel corso del 2012, il PIL dovrebbe aumentare nella stessa misura quest'anno.

Nonostante sia l'esempio più acclamato (e discusso), la presenza italiana in Serbia non si limita alla Fiat. Molte imprese italiane hanno investito nel Paese con meno clamore, a partire dal settore finanziario (Banca Intesa e Unicredit ricoprono il 22% del settore); assicurativo (Gruppo Generali e Fondiaria SAI rappresentano il 45% del mercato in Serbia); energetico (Maccaferri, Edison) e tessile (Benetton, Golden Lady e Calzedonia hanno creato nuovi distretti produttivi in Serbia, soprattutto nel nord del paese, in Voivodina). Nel complesso, l'Italia è oggi il secondo partner commerciale di Belgrado, avendo superato - nel 2012 - il tradizionale 'alleato' russo.

Ma i risultati degli ultimi anni, per quanto incoraggianti, vanno soppesati con realismo. Per quanto la Serbia si stia rivelando un mercato appetibile e un importante partner economico per il nostro Paese, non vanno dimenticate le difficoltà strutturali dell'economia e le lacune della politica. Belgrado ha le risorse per porre le basi della crescita e divenire un importante polo economico regionale, ma dovrà porre urgentemente rimedio alle debolezze che finora ne hanno impedito un pieno rilancio: su tutte, la disoccupazione e l'impoverimento della popolazione. La posta in palio non è piccola: il futuro della nazione è la scommessa su cui si gioca la stabilità della regione dell'ex - Jugoslavia. Una Serbia normalizzata e integrata nell'Unione Europea (esattamente un anno fa Belgrado ha ottenuto ufficialmente lo status di candidato) e, implicitamente, la risoluzione del contenzioso sull'indipendenza del Kosovo è l'unica strada percorribile per riportare la tranquillità in uno scenario che è ancora in ebollizione dopo la scomparsa della 'casa comune' degli Slavi del sud.