La partita si gioca fra vertici istituzionali (come la banca centrale), politici (come i governi) e mercati. Si hanno due dimensioni del conflitto: la prima è quella dell’ambiguità, la seconda è quella dei vincoli. La parte sull’ambiguità l’abbiamo pubblicata, la riprendiamo e approfondiamo, mentre quella sui vincoli è nuova.


La prima dimensione è quella dell’ambiguità
Nel caso europeo, se tutti avessero seguito il codice stradale – ossia i governi, le regole di Maastricht e i mercati, una ragionevole avversione al rischio – i bilanci pubblici non sarebbero mai andati fuori controllo. Quando essi sono andati fuori controllo, ecco che si è organizzata (quasi subito) la polizia stradale e si sono comprate le ambulanze: i 500 miliardi di euro raccolti da tutti i paesi per intervenire in aiuto dei paesi mal messi, e gli acquisti di obbligazioni da parte della banca centrale.

Esattamente come nel caso del codice stradale, quando alcuni non lo seguono ecco che si hanno gli incidenti. Per prima cosa arrivano la polizia e le ambulanze, che aiutano. In un secondo momento si ha la punizione dei colpevoli, che in ogni modo riguarda i tribunali e non chi soccorre. Nel caso dei paesi europei in crisi non si ha un tribunale dove trascinarli, perché sono Stati sovrani.

Il tribunale dovevano essere i mercati finanziari, ma questi sono stati ricusati per la loro parzialità. Un argomento ambiguo: quando i mercati compravano il debito europeo, schiacciandone i rendimenti, erano buoni; ora che vendono il debito europeo, alzandone il rendimento, sono diventati cattivi.

Si osservi il caso greco. I greci emettevano debito, ma questo era comprato soprattutto dalle finanziarie europee non greche. Due terzi del debito greco è, infatti, detenuto dall’estero. Chi lo comprava lucrava un rendimento maggiore, che copriva un rischio di modesta entità. Otteneva un rendimento maggiore di quello che avrebbe ottenuto dalle altre obbligazioni europee, mentre comprava un debito, quello greco, emesso nella stessa moneta degli altri paesi europei. Il costo del debito greco era quindi inferiore a quello che altrimenti sarebbe stato se tutti avessero guidato con scrupolo, ossia pensando al rischio che si corre investendo nel debito crescente di un paese con una base fiscale strutturalmente modesta.

Prima era inferiore a quanto avrebbe dovuto essere, ora – s’intende, sempre il costo del debito greco – è troppo alto perché la Grecia possa ripagarlo senza andare in crisi profonda. Conclusione: la Grecia va salvata insieme al sistema finanziario. Chi è il salvatore? La fiscalità generale dei paesi europei. Siamo in una situazione in cui i contribuenti europei debbono sanare una combinazione di cose che nessuno individualmente ha mai scelto. Il principio della responsabilità individuale è risucchiato dalle esigenze dell’emergenza.


La seconda dimensione è quella dei vincoli
Una situazione di crisi come quella in corso, una volta sarebbe stata gestita con minor difficoltà.  In passato, quando il debito era ingestibile, si lasciava correre l’inflazione. Il debito pubblico era pagato alla scadenza al prezzo di emissione, e dunque in moneta corrente era pagato poco o niente. Le entrate pubbliche erano intanto salite molto, perché lo stato raccoglieva le imposte, che crescevano in termini nominali. È più o meno quello che è accaduto in Italia dopo la Seconda Guerra.

Di nuovo, questo sembra un ragionamento innocente, ma lo si osservi da un punto di vista politico. Si immagini, e questa è la differenza fra allora e oggi, un mercato delle obbligazioni efficiente. Quest’ultimo brucerebbe i tentativi di salvare le cose con l’inflazione, chiedendo dei rendimenti enormi alle aste. Il mercato efficiente salverebbe il risparmio delle famiglie. Inoltre, se i salari e le pensioni sono indicizzati, ecco che le spese pubbliche restano costanti. La politica, intesa qui come costellazione di forze, ha oggi il mercato delle obbligazioni efficiente e i redditi popolari indicizzati. Dunque manca l’arma invisibile dell’inflazione.

Il taglio del 5% dei salari dei dipendenti pubblici non ha nulla a che fare con quanto accadeva una volta, con i salari nominali invariati ma ridotti da un’inflazione del 20%. Sembra una medicina amara, tuttavia non lo è.

Fare politica oggi è più difficile. Resta oggigiorno, per portare sotto controllo il debito, una combinazione siffatta: 1) taglio delle spese, e riduzione della spesa tendenziale; 2) rialzo delle imposte; 3) stabilizzazione dei rendimenti del debito pubblico, che passa anche attraverso gli aiuti degli altri paesi, e dall’intervento della banca centrale. Insomma, alla fine, quello che si sta facendo.