Per raccontare Warren Buffett non basteranno i libri che sono usciti e usciranno quando questo simpatico vecchietto di 84 anni uscirà di scena, perché ogni volta che si muove, ogni volta che parla o vaticina – lo chiamano l’Oracolo di Omaha – sa conquistare le folle. All’ultimo annual meeting della Berkshire Hathaway, che è un festival annuale in cui tutti accorrono per vedere e ascoltare Buffett e scrutarsi uno con l’altro, il grande capo ha cantato, ha detto che uno dei suoi più grandi difetti è quello di essere “sloppy”, a mezzo tra l’essere superficiale e l’essere trasandato, ma soprattutto quello di metterci troppo tempo a licenziare chi non fa bene il proprio lavoro, che detto da lui suona più che minaccioso.
 
Buffett è uno degli investitori più famosi del pianeta, ha un patrimonio stimato di 44 miliardi di dollari, è da anni nella parte più alta della classifica degli uomini più ricchi del mondo. Poi è un filantropo e anche un ispiratore di strategie di economia politica: un grande leader ombra, in area liberal. Per moderare l’immagine di speculatore – o di capitalista, ché si sa in certi ambienti non è proprio un complimento – Buffett ha adottato un profilo compassionevole che lo ha reso umano e famoso, al punto da determinare anche uno dei dibattiti più importanti e controversi degli ultimi anni: quello sulla tassa ai ricchi.
 
Prima di Thomas Piketty, l’economista superstar del momento che per colmare le diseguaglianze inevitabili dettate dal capitalismo invoca una tassa globale sulla ricchezza, Buffett ha inventato la “Buffett rule”, che è diventata parte della campagna elettorale di Barack Obama per la rielezione del 2012 (1). Buffett aveva spiegato che gran parte dei suoi guadagni derivava dagli investimenti, tassati al 15 per cento, e che quindi pagava meno tasse della sua segretaria, sottoposta a un’aliquota del 35 per cento (la segretaria è diventata una star, ha presenziato anche al discorso sullo Stato dell’Unione di Obama nel 2012, accanto alla first lady Michelle). Per colmare questa diseguaglianza ingiusta, Buffett diceva: tassate di più noi ricchi. Ai liberal a caccia di una giustificazione per introdurre nuove tasse non parve vero, e così la Buffett rule divenne la faccia presentabile e seria delle tende di Occupy Wall Street, che appunto volevano vedere l’1 per cento dell’America, i ricchi, fare il loro dovere per salvare il paese dalla crisi. 
 
Qualche giorno fa, il Wall Street Journal, che è per sua natura contrario alle tasse, figurarsi a quelle sui ricchi, ha spiegato però che l’aria compassionevole di Buffett e di tutta la strategia che gli è andata dietro è in realtà un bluff (2). I ricchi pagano più tasse, ma Buffett, che è il ricco dei ricchi, no. “La vera regola sulle tasse che piace a Buffett – scrive il quotidiano finanziario – è quella di pagarne il meno possibile, di tasse, sia a livello individuale sia a livello aziendale”. Riportando le sue parole in un’intervista a Fortune: “Farò di tutto, all’interno di quello che è consentito dalla legge, per ridurre l’aliquota di imposta di Berkshire. Per esempio, sull’energia eolica, abbiamo molte detrazioni se costruiamo tante pale. Questa è l’unica ragione per costruire, non avrebbero senso se non ci fossero le detrazioni”. Tradotto dal Wall Street Journal: “I favori politici per l’industria dell’energia eolica spingono le aziende americane di alto livello a investire le già poche risorse che ci sono in un progetto non efficiente”.