La Banca Centrale Europea ha alzato i tassi d’interesse dall’1 all’1,25%. Si suppone che sia il primo passo e che i tassi arriveranno al 2%. Perché si comporti così e non segua un approccio espansivo in attesa della ripresa – come stanno facendo i paesi anglosassoni, che non alzano i tassi, oggi pressoché nulli – è un fatto che si presta a diverse interpretazioni. Una è di natura culturale. Nell’Europa continentale si segue l’approccio secondo cui, se il costo del denaro è mantenuto artificialmente basso, allora i crediti e la raccolta di capitale diventano facili. Ne segue che le attività finanziarie saranno comprate anche se non sono per se stesse attraenti, e che si faranno anche gli investimenti reali meno efficienti. In questo modo il sistema è temporaneamente vivace, ma alla lunga inefficiente. È l'idea che esiste un tasso naturale d’interesse da cui non bisogna allontanarsi troppo. I padri di questo approccio sono gli economisti svedesi, ma soprattutto austriaci dello scorso secolo. Nei paesi anglosassoni, invece, si segue l’idea dello stimolo esterno. Se le cose sono troppo vivaci, allora i tassi si alzano, e se sono flosce, allora i tassi si abbassano. Il sistema è guidato dalla banca centrale, che non lo lascia surriscaldare né accartocciarsi. Se le cose stessero così, si vedrebbe bene che – al contrario dei luoghi comuni – il sistema europeo lascia più spazio all’autoregolazione dei mercati di quello anglosassone.
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