Abbiamo esaurito l'argomento Grecia? No, perché vanno osservate le problematiche nascoste, che sono (nientemeno) quelle relative all'interazione fra integrazione economica, stato nazionale, e democrazia.
Proviamo ad immaginare la Grecia quando era in un mondo non Euro e non Unione Europea (UE). Intanto, i trasferimenti dei capitali che si sono avuti negli ultimi anni dai Paesi dell'euro non ci sarebbero stati. La ragione è da cercarsi nella moneta ellenica: una moneta debole che nessuno avrebbe voluto, se non in cambio di interessi proibitivi. Non arrivando del denaro da fuori, la spesa pubblica in deficit – in deficit perché in Grecia non si raccoglievano le imposte nella misura necessaria - sarebbe stata finanziata con l'emissione di poche obbligazioni (che pochi, anche greci, avrebbero voluto) e, soprattutto, con l'emissione di moneta. La quale, se offerta in eccesso, avrebbe (come ha fatto) alimentato l'inflazione. Con dazi elevati e una moneta debole le importazioni di beni sarebbero state frenate. Le esportazioni greche di beni erano (e sono) poco importanti, mentre rilevano quelle dei servizi turistici. Insomma, la Grecia era un Paese povero, con un equilibrio economico precario, la cui importanza dipendeva dalla collocazione geografica.
Immaginiamo ora la Grecia in un mondo Euro ed UE. La moneta comune annulla il problema del cambio. Si investe in Grecia comprando il suo debito pubblico in Euro, ed Euro si ricevono alla scadenza dell'obbligazione. Annullato il rischio cambio, il rendimento delle obbligazioni scende. E scende molto, al punto da rendere attraente l'emissione di obbligazioni per finanziare il deficit pubblico. Il nuovo debito pubblico, infatti, costa molto poco. La spesa pubblica greca può così aumentare senza che vi sia una gran necessità di alzare le imposte. Allo stesso tempo, si ha la liberalizzazione dei mercati delle merci e dei capitali. Insomma, la crescita è trainata dalla spesa pubblica in deficit, finanziata dagli acquisti di obbligazioni del Tesoro ellenico soprattutto di origine estera.
Due numeri. Dal 1990 alla crisi del 2008, il PIL greco (senza inflazione) passa da 100 a 165. (Nello stesso periodo quello italiano e tedesco passano da 100 a 130). Il PIL greco sale molto, ma la qualità dell'ascesa è modesta: la produttività (totale dei fattori) nel periodo resta, infatti, invariata. (Anche in Italia la produttività resta invariata nel 1990-2008, mentre il Germania cresce). Scoppia la crisi ed il PIL greco si contrae da 165 a 125. (Quello italiano da 130 a 115, mentre quello tedesco sale da 130 a 135).
Mentre cresceva il debito pubblico, non sorgevano le condizioni strutturali per onorarlo nel lungo termine, come si evince dalla dinamica della produttività. Dov'è finito il controvalore del gran debito? Nella spesa per i salari ai dipendenti pubblici, nelle pensioni, nelle opere pubbliche. Sorge la domanda: possibile che dall'estero nessuno si sia accorto di niente e che quindi sia arrivata lo stesso una massa di denaro sproporzionata alla forza economica di lungo termine dell'Ellade? Il sistema bancario europeo era esposto verso la Grecia per 100 miliardi di euro nel 2005, miliardi che sono diventati ben 300 prima della crisi del 2008. Da allora l'esposizione è scesa a meno di 50 miliardi. Il sistema finanziario non si è perciò mostrato “lungimirante”, forse perché contava di essere salvato in caso di crisi grave. Sei “formica” quando crei le condizioni per la tua solvibilità, sei “cicala” se sperperi senza pensare ai tuoi obblighi verso i creditori. Le formiche dell'euro-zona – in primis le banche francesi e tedesche - pensavano (o facevano finta di pensare) che anche i greci fossero delle formiche fino alla crisi, ma poi si sono (piuttosto) velocemente convinte che erano solo delle detestabili cicale.
Scoppia la crisi, e la Grecia – volens nolens - tenta affannosamente di diventare una formica. In Grecia vi erano ben – considerando la popolazione nel complesso - 907.251 dipendenti pubblici nel 2009. Alla fine del 2014 ve ne sono 651.717, ossia un 25% in meno. Immaginate l'impatto politico della stessa riduzione in altri Paesi. Il deficit pubblico greco è passato dal 15% del PIL nel 2009 al 2,5% del PIL nel 2014. Immaginate l'impatto politico della stessa riduzione in altri Paesi.
Insomma, la Grecia ultimamente si sta comportando da formica, ma la crescita non si è palesata, nonostante il debito pubblico sia - durante la crisi del 2010-2012 - quasi tutto (l'ottanta per cento) finito in mano alla Trojka, e che costi solo il due per cento (come quello tedesco e la metà di quello italiano). L'economia greca – già povera di suo - si è contratta al punto che i debiti giunti a scadenza - per quanto modesti - sono pari alla metà circa del PIL di un mese. Da qui l'impossibilità di pagarli, in assenza di crescita, a meno che il debito giunto a scadenza non venga tosto rinnovato.
Assumiamo che il racconto fin qui fatto sia veritiero. Abbiamo esaurito l'argomento? No, perché vanno ancora osservate le problematiche nascoste, che sono quelle relative all'interazione fra integrazione economica, stato nazionale, e democrazia. Per evitare discorso astratto, partiamo dalla vicenda pensionistica.
Le pensioni – in un sistema detto “a ripartizione”, laddove lo stato è l'intermediario fra chi lavora e chi si è ritirato, con i primi che versano le pensioni ai secondi - sono finanziate dai contributi dei lavoratori e dei datori di lavoro. Anche in Grecia avviene lo stesso, ma i contributi erano pari a due terzi delle pensioni erogate prima della crisi, e sono diventati pari a poco più della metà durante la crisi. Il sistema pensionistico greco ha anche dei beni reali e finanziari, che però rendono poco, per cui, alla fine, la differenza fra le entrate del sistema pensionistico e le sue spese – con le seconde che sono il doppio delle prime - è a carico del bilancio dello stato. Questa differenza è pari a 13 miliardi di euro l'anno ogni anno, un esborso, a sua volta, pari al 15% delle entrate statali.
Come mai il sistema pensionistico è sotto finanziato? I contributi dei datori di lavoro sono in linea con quelli degli altri Paesi, ma non lo sono quelli dei lavoratori. Come mai? I lavoratori autonomi sono molto numerosi e con un reddito modesto, come si può immaginare che siano in un paese di servizi turistici. I greci “privati” non vanno in pensione molto prima degli altri europei, ma contribuiscono meno - quando sono attivi- al funzionamento del sistema pensionistico. I greci “pubblici” vanno, invece, in pensione molto prima degli altri europei. Perciò abbiamo un sistema incapace di finanziare le pensioni senza il contributo dello stato. Senza il contributo dello stato le pensioni sarebbero dimezzate. Le pensioni in un paese di “famiglia allargata” sono molto più che delle pensioni, perché compensano la mancanza di servizi pubblici estesi. I nonni mantengono i nipoti disoccupati, potremmo dire. Per tagliare la pensione ai nonni dovresti dare un sussidio di disoccupazione o un reddito di cittadinanza ai nipoti, potremmo aggiungere. Oppure ancora, dimezzare le pensioni e non offrire i servizi pubblici estesi. (Auguri alle prossime elezioni …).
Se la Grecia fosse in grado di finanziare agevolmente le pensioni pur con tutte le loro distorsioni – alcuni sono privilegiati, come i pensionati statali, ed il sistema pensionistico nel complesso svolge anche il compito improprio di “stato sociale” - nessuno potrebbe dire niente. Insomma, se i greci votano per dei governi che tengono in vita questo sistema pensionistico, essi esercitano la propria “sovranità”. Nel momento in cui diventano un Paese insolvente - ossia incapace di pagare il debito pubblico, debito che si è potuto accumulare grazie all'integrazione economica – ecco che debbono soddisfare le richieste dei creditori. I quali creditori vorrebbero un sistema pensionistico moderno – ossia che distribuisca solo pensioni e che non assolva altri compiti – che però esiste solo nelle economie con una base industriale forte e stato sociale diffuso. Insomma vogliono la Germania in Grecia. La democrazia esercitata in uno stato sovrano, in assenza di crisi economica, probabilmente manterrebbe il sistema pensionistico attuale, che serve molti e diffusi interessi. In questo caso, avremmo una “sovranità” che tiene in vita un sistema arcaico. La pressione a cambiare sistema spinge, invece, verso la “modernità”, ma limita la sovranità.
Dove sta l'intelligenza politica del debitore? Supponiamo che voglia modernizzare il paese, ma che non ne abbia la forza politica. L'occasione si presenta con i creditori che ti inseguono. Non puoi posporre le decisioni, pena la crisi finanziaria. Qual è allora la soluzione? Rendere - nella misura del possibile - morbida la modernizzazione. La sovranità la eserciti negoziando condizioni morbide per riformare il sistema. Dove sta l'intelligenza politica del creditore? Nel concedere le condizioni morbide. Anche perché, se la Grecia diventasse insolvente, fra Germania e Francia andrebbero persi circa 150 miliardi di euro. Che cosa racconterebbero a quel punto ai loro elettori ? Che hanno prestato una montagna di denaro ad un Paese che era ultra esposto con le banche estere, Paese che poi è fallito?
Pubbicato anche su: http://www.limesonline.com/la-germania-in-grecia-come-nata-e-come-si-puo-risolvere-la-crisi-di-atene/79971
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