Il presidente americano, Barack Obama, ha riaperto la fase bipartisan: siede con un sorriso tirato in mezzo ai repubblicani per cercare di trovare la quadra sulla questione del debito. Dopo che il dialogo era collassato in passato parecchie volte, al punto da far tramontare l’iniziale vocazione obamiana al compromesso a ogni costo, si ricomincia.
Le alternative non sono molte, e la Casa Bianca lo sa. Tanto che ha addirittura messo sul tavolo dei negoziati la possibilità di rivedere il Medicare e il Social Security, cioè sanità e pensioni, in cambio di un innalzamento delle tasse per trovare un accordo sul tetto del debito (1). I democratici al Congresso hanno quasi avuto svenimenti (2) quando hanno visto il loro presidente disposto a toccare i mostri sacri delle spese statali. Obama scommette che, a parte le critiche e lo sconforto, i democratici alla fine lo sosterranno, come hanno già fatto l’anno scorso sul pacchetto di tasse ereditate dall’era bushiana e ancora quest’anno quando si è deciso di rimandare il dibattito sui fondi per far funzionare lo stato a ottobre.
Paul Krugman, coscienza dell’uomo liberal, non ha perso l’occasione per ricordare al presidente che la sua scommessa è rischiosa, oltre che oltraggiosa (3): il premio Nobel riconosce che la mossa in «stile Corleone» può essere politicamente vincente, perché così, se i repubblicani dovessero essere intransigenti, finirebbero loro per passare per estremisti. Ma toccare certe spese non si può, nemmeno per alzare la posta del negoziato, neppure se poi non se ne fa niente – dice Krugman.
Secondo le ultime indiscrezioni, Obama e lo speaker repubblicano del Congresso, John Boehner, si sono messi d’accordo (4) per una riduzione del deficit di quattromila miliardi in dieci anni, con tagli alle spese e una riforma delle tasse all’inizio dell’anno prossimo. Obama dovrebbe mantenere le aliquote per i redditi bassi stabilite da Bush, mentre Boehner potrebbe ottenere un’ampia riforma sulle tasse a redditi personali e aziendali per renderle più efficienti.
Tuttavia, i repubblicani sarebbero molto meno propensi all’accordo del loro leader, e secondo un altro commentatore durissimo, Charles Krauthammer (5), ormai il deal è soltanto materia politica, non certo economica, dal momento che la ripresa è già compromessa dai continui rimandi.
In questo senso Krugman segnala un problema: chi conduce la politica economica del presidente dopo tutti gli abbandoni e i cambi di strategia? Il passaggio dal presidente al candidato presidente potrebbe aver introdotto ulteriore confusione su un tema che fa vincere o perdere le elezioni (sempre ammesso che i repubblicani trovino un candidato all’altezza).
(3) http://www.nytimes.com/2011/07/08/opinion/08krugman.html?ref=opinion
(4) http://www.politico.com/news/stories/0711/58535.html#ixzz1RVYW7KzR
(5) http://www.washingtonpost.com/opinions/the-elmendorf-rule/2011/07/07/gIQAPagk2H_story.html?hpid=z3
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