Da tempo i mercati delle azioni “arrancavano”. Quello statunitense dalla fine del 2014, quello europeo dalla primavera del 2015. Non si aveva la spinta degli utili – fermi nelle due sponde dell'Atlantico, e neppure quella della discesa ulteriore dei rendimenti – ormai nulli o quasi. Mancando questa spinta, prima o poi si sarebbe avuta una flessione. Le flessioni si manifestano quando si trova una ragione – più o meno valida - per vendere.
La caduta della borsa cinese, la flessione della moneta cinese, e, infine, il prezzo del petrolio ridottosi a un terzo di quello del 2014, sono stati il cocktail che ha generato la giustificazione (più o meno valida) per spingere le vendite.
A questo punto la domanda è: si può avere il ritorno di un ciclo robusto al rialzo delle azioni, oppure tutto quello che possiamo aspettarci è un rimbalzo che in gergo si chiama “tecnico” (1)? Il ciclo robusto si ha quando si combinano la crescita degli utili (il reddito degli investitori) e la flessione dei rendimenti delle obbligazioni (il reddito alternativo). Oggi non si hanno queste condizioni. Perciò dovremmo avere dei mercati azionari deboli che ogni tanto fanno un salto per effetto dei rimbalzi tecnici.
In mancanza di una combinazione di utili in ascesa e rendimenti in discesa i mercati azionari tornano interessanti – ossia diventano meno “cari” e quindi appetibili, quando flettono i prezzi. La discesa dei prezzi delle azioni – a condizione di essere molto poco investiti durante la crisi – diventa perciò l'occasione per ricomprarle – ma solo quando quando si sono assestate, ossia quando hanno trovato un “pavimento” che ne fermi la caduta.
(1) Con ciò si intende che, quando chi ha venduto allo scoperto ha guadagnato abbastanza, ricompra i titoli per renderli a chi li ha prestati. Viene quindi immediatamente meno la pressione al ribasso, ed i prezzi rimbalzano. Il rimbalzo non è però l'”alba di una nuova era”, ma semplicemente la chiusura delle posizioni che hanno premuto al ribasso.
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