Papandreu annuncia l'intenzione di celebrare un referendum per cercare il consenso alle manovre di austerità. Perché mai? Probabilmente pensa che gli manchi un consenso robusto sia parlamentare sia nell'opinione pubblica per continuare con l'austerità. Difficile che un referendum che chieda esplicitamente l'appoggio per una politica di “lacrime e sangue” possa passare facilmente. Anche se passasse, ognuno penserebbe che siano giuste le “lacrime e sangue” altrui. In Italia, per esempio, un referendum siffatto (posto mai che sia costituzionale) vedrebbe alcuni che per “lacrime e sangue” intendono la patrimoniale, con altri che vedono la riforma immediata delle pensioni di anzianità come il necessario aggiustamento dei conti. Anche se il referendum di Papandreu passasse, le vere decisioni dovrebbero ancora esser prese.

Il referendum greco complica quindi il percorso di risanamento europeo. Il risanamento finora è stato condotto contando su istituzioni non elette – la banca centrale, il fondo monetario – e su istituzioni – come i parlamenti – che, sebbene eletti, non sono mai stati sottoposti al giudizio immediato (si noti “immediato” non “mediato”, o di lungo termine) degli elettori. La diversa percezione del rischio dipende perciò dall'ingresso nell'arena delle decisioni da prendere anche del voto popolare, che potrebbe rallentare il risanamento dell'Europa dell'Euro.

A un rischio maggiore notoriamente corrispondono prezzi minori. I prezzi minori compensano, infatti, il maggior rischio (1). E dunque è razionale che vadano giù le obbligazioni dei paesi messi peggio e le azioni. E, fra le azioni che vanno giù, quelle messe peggio sono le bancarie, perché gli istituti maggiori hanno molti titoli greci, ecc.

Intanto che Papandreu pensava al referendum ecco che un importante casa d'investimento degli Stati Uniti dichiara di non poter più andare avanti. Sembra che avesse comprato indebitandosi (=un investimento a leva) il debito pubblico italiano e spagnolo, contando sul risanamento veloce dei due paesi (1). Il risanamento non arriva ed è perciò costretta a liquidare l'investimento. Si ha una vendita forzata di titoli. I titoli hanno dei prezzi che si formano “al margine” (2). Il prezzo del BTP e del Bono scende, perché si sa che c'è una liquidazione forzata e dunque in pochi si offrono di comprare fin tanto che il prezzo non cade molto. Il sospetto che possa cadere ancora spinge gli investitori a puntare sulla caduta ulteriore dei corsi. Si prendono allora delle posizioni scoperte (=si vendono i titoli presi a prestito per poi ricomprarli a un prezzo inferiore per renderle al prestatore) e le vendite aumentano. Se si vuole variare tecnica, allora si vendono allo scoperto anche le azioni delle banche che hanno titoli greci, italiani e spagnoli.

Al peggior andamento dei titoli che si sarebbe avuto per l'effetto del solo referendum greco si aggiunge il fallimento di una casa statunitense che porta alla vendita forzata dei titoli. Abbiamo così la combinazione di un maggior premio per il rischio insieme a un evento negativo straordinario. I due vettori si sommano e si hanno le borse che cadono molto, soprattutto nel settore bancario. Conclusione, il referendum greco peserà negativamente sui mercati, mentre il fallimento della finanziaria statunitense sarà alla fine riassorbito. Chi ha venduto allo scoperto, infatti, a un certo punto si rimetterà a comprare per rendere i titoli ricevuti.

(1) Il risanamento si manifesta attraverso il rialzo dei prezzi delle obbligazioni, ossia attraverso la discesa dei rendimenti. Le obbligazioni erogano una cedola che è fissa – per esempio 3 euro su 100 di valore facciale. In questo caso si ha un rendimento del 3%. Se il prezzo scende a 50, il rendimento sale al 6% - ossia 3 euro su 50. Il risanamento è il ritorno del prezzo da 50 a 100, con conseguente riduzione del rendimento.

(2) In un giorno qualsiasi sono scambiate le azioni, per esempio delle Generali. Si scambia però una frazione delle azioni emesse, per esempio l'1%, e si forma il prezzo. Si assume che il rimanente 99% delle azioni non scambiate avrebbe il prezzo di quelle scambiate. Se il prezzo cade del 10%, allora si dice attoniti che sono stati “bruciati” molti miliardi di euro, perché si moltiplica il prezzo corrente per il numero di azioni emesse e non di quelle scambiate. Il che non è vero, perché il 99% delle azioni delle Generali non è stato scambiato. Noi non sappiamo che cosa accadrebbe se tutte le azioni fossero scambiate. Lo stesso vale per il debito pubblico, in un giorno non è scambiato tutto il debito emesso sotto forma di BTP, ma solo una frazione.

L'articolo è stato pubblicato anche sull'Inkiesta:

http://www.linkiesta.it/il-futuro-dell-europa-non-devono-votarlo-i-greci