Della crisi in corso, si ha l’interpretazione di chi pensa che la finanza lasciata libera sia in ogni modo un peso per l’economia reale, e quella di chi pensa che la finanza sia monda da ogni peccato, con il male che viene solo dalla politica.

Nel primo caso, la cura è il ritorno alla suddivisione delle banche in istituti di credito ordinario e di credito a medio-lungo termine; nel secondo caso, la cura prevede di dar sostegno finanziario alla crisi per poi tornare all’autoregolazione dei mercati. Ognuno scelga quale delle due scuole di pensiero meglio gli si confà e la sposi. Se pensa che le ricette già sperimentate possano funzionar male, allora potrebbe concepire una «terza via». Non il ritorno alla segmentazione delle banche su base nazionale o regionale con una forte influenza del potere politico – lo sbocco di una cura statalista. Non il semplice ritorno a come stavano le cose fino a qualche tempo fa, quando prevaleva l’idea che il timore di perdere la reputazione trattenesse il sistema dal prendere rischi eccessivi – lo sbocco di una cura liberista.
 
Stiamo seguendo l’argomentazione di Marco Onado – I nodi al pettine (1). Ecco la compressione del seguito della sua argomentazione, che si concentra sugli Stati Uniti.
 
Una volta le banche raccoglievano i mutui ipotecari e se li tenevano. Da un certo momento in poi, i mutui raccolti sono stati distribuiti al largo pubblico. I crediti erano impacchettati sotto forma di obbligazioni e venduti. Il nome del processo descritto è cartolarizzazione. Due le cose importanti da notare. A) Quando le banche erano le creditrici dei mutui, stavano attente a erogarli; una volta che il credito è stato distribuito al largo pubblico, l’attenzione è venuta meno. B) Ed è venuta meno anche perché è prevalsa l’idea che, mettendo insieme i numerosi mutui, il rischio si riducesse, proprio come accade quando si mettono insieme decine di azioni in un portafoglio.
 
Non si vede che cosa ci sia di sbagliato in quello che abbiamo appena descritto. Nulla, infatti. Ma, se le cose sono finite male, ci sarà pur motivo. L’analisi dei dettagli spiega le cose.
 
Le obbligazioni potevano finire dentro dei veicoli finanziari delle banche. Le quali banche potevano non consolidarli, perché bastava che ci fosse nel veicolo un azionista terzo. Ecco che le banche potevano aggirare i vincoli patrimoniali, i vincoli di rapporto fra attivo e mezzi propri, insomma potevano riempirsi di obbligazioni con in pancia i mutui, senza un corrispettivo patrimoniale. Prevaleva l’idea che il rischio fosse basso per effetto della numerosità dei titoli detenuti. Si è visto poi che l’effetto bilanciante non agiva, perché, quando il prezzo degli immobili ha iniziato a flettere, molti dei mutui impacchettati sono diventati inesigibili, i mutui subprime, con quelli esigibili, i mutui prime, che non hanno retto il peso del mancato reddito dei primi. Avessero le banche dovuto mettere più patrimonio a fronte dei succitati veicoli, forse non avremmo avuto l’enorme crescita del debito delle famiglie e del credito delle banche.
 
Il processo che ha portato alla crisi si completa se aggiungiamo altri tre protagonisti: 1) le società che pubblicavano i giudizi sul merito di credito – le società di rating – il cui reddito deriva dalla società emittente i titoli; 2) le società di revisione, che erano spesso consulenti delle imprese di cui certificano i bilanci; 3) le società che assicurano le obbligazioni in caso di fallimento dell’emittente, che spesso non facevano gli accantonamenti necessari.
 
Insomma, la crisi in corso non è figlia della «malasorte». Proviamo a immaginare, infatti, il ciclo economico degli ultimi anni con le banche obbligate a impiegare una maggior quota di patrimonio per detenere obbligazioni, con le società di rating che danno giudizi più crudi sulle obbligazioni medesime, con le società di revisione attente alle intimità dei bilanci, infine con le obbligazioni assicurate con i dovuti accantonamenti. Se le cose fossero andate in questo modo, la crisi probabilmente sarebbe stata molto meno grave.

Il merito dell’argomentazione esposta è questo: la crisi perde «poetica» (gli avidi, il mondo marcio perché ormai senza valori) e acquista «prosaicità» (le regole di buona condotta). In definitiva, si perde forza polemica e si acquista forza pratica.
  

(1) http://libreriarizzoli.corriere.it/libro/onado_marco-i_nodi_al_pettine_.aspx?ean=9788842089827