Non molto tempo fa si diceva che la debolezza del dollaro giustificava l’ascesa del mercato azionario statunitense. Almeno un terzo degli utili delle grandi imprese statunitensi quotate si forma, infatti, all’estero. Ora che il dollaro è forte, la borsa sale egualmente…
La correlazione inversa fra dollaro e borsa era impressionante – quasi pari a 1 – dalla fine del 2008 all’inizio del 2010. Ossia, quando il dollaro fletteva, la borsa saliva e viceversa.
Una relazione statistica non è una relazione causale. Quindi si tratta di capire perché. La spiegazione del dollaro debole che alza i profitti delle imprese è ragionevole anche se non convincente. Non è convincente perché il dollaro debole alla fine spinge al rialzo i rendimenti sul debito pubblico statunitense e per questa via il fattore di sconto degli utili.
Da qualche tempo accade che il dollaro si sia rafforzato e la borsa – dopo una caduta iniziata a metà gennaio e proseguita fino a quasi metà febbraio – sia tornata intorno ai massimi di gennaio. La spiegazione del «dollaro che aiuta i profitti» non regge, a meno che non si pensi che il rialzo del dollaro sia un fatto temporaneo, legato alle vicende greche. Ossia che la Grecia possa scatenare una crisi del debito pubblico europeo e quindi dell’euro. «Possa», ma che poi non accada nulla e il dollaro riprenda a essere debole, e quindi capace di spingere i profitti.
Dunque per la borsa statunitense la crisi greca è «finta», se la spiegazione della correlazione fra dollaro debole e borsa forte è quella proposta sopra, ossia gli utili esteri delle imprese statunitensi. Se, al contrario, si argomenta – come fanno alcuni – che il dollaro forte mostra come vi sia ancora molta fiducia negli Stati Uniti, allora abbiamo una spiegazione dell’ascesa di oggi, ma non di quella di ieri.
Insomma, noi non troviamo una spiegazione, ma solo delle ipotesi che possono servire a giustificare a posteriori un comportamento. Le famose ipotesi ad hoc. Magari la spiegazione c’è, ma a noi non viene in mente.
Per la correlazione inversa fra il dollaro (misurato contro un paniere di valute) e la borsa (misurata con lo Standard & Poor’s):
Una relazione statistica non è una relazione causale. Quindi si tratta di capire perché. La spiegazione del dollaro debole che alza i profitti delle imprese è ragionevole anche se non convincente. Non è convincente perché il dollaro debole alla fine spinge al rialzo i rendimenti sul debito pubblico statunitense e per questa via il fattore di sconto degli utili.
Da qualche tempo accade che il dollaro si sia rafforzato e la borsa – dopo una caduta iniziata a metà gennaio e proseguita fino a quasi metà febbraio – sia tornata intorno ai massimi di gennaio. La spiegazione del «dollaro che aiuta i profitti» non regge, a meno che non si pensi che il rialzo del dollaro sia un fatto temporaneo, legato alle vicende greche. Ossia che la Grecia possa scatenare una crisi del debito pubblico europeo e quindi dell’euro. «Possa», ma che poi non accada nulla e il dollaro riprenda a essere debole, e quindi capace di spingere i profitti.
Dunque per la borsa statunitense la crisi greca è «finta», se la spiegazione della correlazione fra dollaro debole e borsa forte è quella proposta sopra, ossia gli utili esteri delle imprese statunitensi. Se, al contrario, si argomenta – come fanno alcuni – che il dollaro forte mostra come vi sia ancora molta fiducia negli Stati Uniti, allora abbiamo una spiegazione dell’ascesa di oggi, ma non di quella di ieri.
Insomma, noi non troviamo una spiegazione, ma solo delle ipotesi che possono servire a giustificare a posteriori un comportamento. Le famose ipotesi ad hoc. Magari la spiegazione c’è, ma a noi non viene in mente.
Per la correlazione inversa fra il dollaro (misurato contro un paniere di valute) e la borsa (misurata con lo Standard & Poor’s):
http://www.zerohedge.com/sites/default/files/images/user5/imageroot/summers/DXY-SPX%203.4.jpg
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