Da anni il Giappone non cresce. Da anni ha un cambio in rivalutazione perpetua, che rende sempre meno competitive le sue merci. Da anni il bilancio pubblico è in forte disavanzo primario, ossia genera debito prima ancora di pagare gli interessi sul debito cumulato. In Giappone si hanno, infatti, delle spese sociali sostenute a fronte di introiti fiscali modesti. L'onda lunga della bolla immobiliare – scoppiata alla fine degli anni ottanta - si sta esaurendo. Le imprese si sono ormai dis-indebitate, ma non è ancora ripartita la domanda di credito per investimenti. Di conseguenza il Tesoro in deficit sostiene la domanda, mentre riesce a indebitarsi a un costo contenuto – il rendimento dei titoli di stato a lungo termine è intorno al 1% -, perché nessun altro chiede credito.
Il 16 dicembre in Giappone votano. L'oggetto del dibattito è l'uso che il Governo potrebbe fare della Banca Centrale, che è formalmente indipendente dal 1998. Ossia, si dibatte se spingerla a comprare altre obbligazioni che finanzino la spesa per infrastrutture – ciò che nelle intenzioni rilancerebbe la domanda. Si dibatte se spingerla a comprare copiosamente attività finanziarie estere per indebolire lo yen. Insomma, si dibatte se far ridiventare la Banca Centrale un organismo dipendente dal Governo. Una tentazione che si aggira anche da noi.
La tentazione la si comprende, soprattutto se si pensa che in Giappone il debito pubblico lordo è intorno al 250% del PIL (il doppio del nostro), mentre i rendimenti sono quasi nulli (il nostro costo del debito è intorno al 4%). Insomma, per quanto il debito pubblico (quello detenuto dai privati e dalla banca centrale) cresca, esso alla fine non costa. Inoltre, è detenuto quasi tutto dai giapponesi (95%), un qualcosa di raro fra i paesi avanzati (da noi 2/3 del debito pubblico è degli investitori domestici).
Il rilancio trainato dalla Banca Centrale sembra perciò possibile. Si spinge la spesa pubblica per infrastrutture come volano della crescita, mentre si mantiene la spesa sociale (in un paese che sta velocemente invecchiando) e non si alzano le imposte.
La scelta è possibile, ma alla lunga è pericolosa. Lo Stato giapponese ha spese crescenti e entrate meno “vispe”. Il debito pubblico è in larga misura a scadenza breve ( = quella che costa meno) e perciò va frequentemente alle aste. Se il debito che scade non venisse totalmente rinnovato alle aste per l'assenza di alcuni sottoscrittori – per esempio i fondi pensione che vanno all'estero alla ricerca di rendimenti maggiori –, ecco che interverrebbe la Banca Centrale del Giappone. Il fenomeno potrebbe ripetersi, e la Banca Centrale continuerebbe ad accumulare debito pubblico. Potremmo immaginare che la Banca Centrale renda al Tesoro le cedole e dunque che avremmo un debito crescente a costo zero. Avremmo alla fine un debito pubblico talmente grosso che la base fiscale non sarebbe più sufficiente a garantirlo. Ed ecco il costo ( = non ci sono pasti gratis): avremmo un Tesoro insolvente, e i titoli di stato che reggono solo perché sono rinnovati alle aste dalla Banca Centrale.
Questo è il “tallone d'Achille” della strategia di Shinzo Abe – il primo ministro. Si potrebbe avere un beneficio di breve termine – accompagnato da un'ascesa della borsa giapponese per la quale è necessaria un indebolimento dello yen -, ma alla lunga “i nodi verrebbero al pettine”. L'analisi qui proposta è confortata dal lavoro di due economisti giapponesi, che, infatti, affermano che il percorso del loro debito pubblico non è sostenibile.
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