Che cos’è la ricchezza finanziaria di un paese? È la somma dei depositi bancari, delle obbligazioni, delle azioni, dei fondi comuni, dei fondi pensione e delle assicurazioni. L’Inps non rientra nella categoria dei fondi pensione, perché ridistribuisce a favore dei pensionati parte del reddito prodotto da chi lavora, e perciò non accumula ricchezza, ossia non compra azioni e obbligazioni per conto dei futuri pensionati.
di Giorgio Arfaras
In Italia la ricchezza finanziaria – nel corso della crisi del 2008 – è scesa del 9%. Una caduta modesta rispetto a quella di altri paesi. Gli italiani hanno soprattutto obbligazioni e conti correnti, che sono stati toccati poco o niente dalla crisi, e hanno poche azioni, che invece hanno subito forti perdite. Negli Stati Uniti, dove, all’opposto, le famiglie hanno molte azioni, la caduta della ricchezza finanziaria è stata pari al doppio, il 18%. Poi, nel 2009, la ricchezza finanziaria sia in Italia sia negli Stati Uniti è salita del 5%.
Il calcolo degli effetti della crisi sulla ricchezza deve includere l’andamento del prezzo degli immobili. In Italia, esso è caduto poco, del 5%, mentre negli Stati Uniti è caduto quattro volte di più – del 20%. La ricchezza sia mobiliare sia immobiliare degli italiani – nel biennio della crisi – è quindi flessa nell’ordine del 5%. Un numero, considerando l’entità e la profondità della crisi mondiale scoppiata nel 2008, modesto.
L’economia reale
Nel corso della crisi l’economia reale italiana – misurata come l’insieme dei beni e servizi prodotti in un anno, il Pil – è flessa del 5%. La flessione dell’economia reale della Germania e del Giappone – i grandi paesi industriali esportatori – è stata nell’ordine di quella italiana. L’economia reale statunitense, invece, è flessa della metà – del 2,5%.
L’Italia, come la Germania e il Giappone, è un paese industriale esportatore e risente della crisi più degli Stati Uniti, dove la componente di servizi nell’economia è maggiore. Anche qui, se si tiene conto di quanto è caduto il commercio internazionale durante la crisi, non si ha un comportamento troppo anomalo dell’Italia.
Prima conclusione. La ricchezza degli italiani è stata toccata poco dalla crisi, e la flessione dell’economia reale è stata simile a quella dei paesi con un’industria esportatrice. Eppure tutti (o quasi) si sentono più poveri, o quantomeno provano del «malessere». Come mai?
Il debito pubblico
Si potrebbe pensare che gli italiani siano preoccupati dal gran debito pubblico. Contrariamente a quel che si crede, il debito pubblico italiano è – attenzione: in prospettiva – più sano di quello di altri paesi, perché le riforme per il contenimento della spesa pensionistica e sanitaria sono state fatte durante gli anni Novanta. Negli altri paesi la cui popolazione invecchia – meno velocemente che da noi, ma comunque invecchia – le riforme per contenere la spesa delle pensioni e della sanità sono ancora da fare. Gli altri paesi hanno oggi un debito pubblico meno grande di quello italiano, ma si tratta di un debito destinato a crescere ben più di quello italiano. Le grandi paure sul nostro debito pubblico non hanno quindi ragion d’essere.
In Europa solo la Germania ha un debito pubblico che, proiettato nei decenni, è – in rapporto al Pil – inferiore a quello italiano. Tutti gli altri paesi (a meno di varare nei prossimi anni le dovute riforme) sono messi peggio.
Seconda conclusione. Il debito pubblico italiano – se proiettato sui decenni – è messo meglio di quello degli altri paesi. Eppure tutti (o quasi) si sentono più poveri, o quantomeno provano del «malessere». Come mai?
All’origine del malessere
Possiamo ipotizzare che la modesta crescita dell’economia italiana sia all’origine del malessere. L’economia italiana non cresce dal 2007, ossia da prima che cominciasse la crisi finanziaria. La crisi in corso ha probabilmente evidenziato le modeste prospettive di crescita del paese. E gli italiani – pur non messi male in campo finanziario – si sono resi conto che le loro prospettive di crescita sono risicate.
Le imprese italiane hanno registrato negli ultimi anni una forte erosione dei margini, ossia della differenza positiva fra i prezzi di vendita e i costi sostenuti. L’erosione dei margini è dipesa in misura modesta dalla dinamica dei costi. L’erosione dei margini, dunque, è stata provocata dalla compressione della dinamica dei prezzi, ossia dalla maggior concorrenza. Hanno quindi guadagnato i consumatori. Inoltre, le imprese italiane – in media – non riescono a remunerare adeguatamente il capitale. Il loro reddito operativo è inferiore al costo del capitale.
Terza conclusione. Da qualche tempo il costo del lavoro non cresce, e il capitale di rischio non è remunerato in misura adeguata. La maggior concorrenza negli ultimi anni ha favorito i consumatori, non i produttori. Evidentemente si è molto più sensibili al proprio reddito (cresciuto in misura insoddisfacente) che ai prezzi (spesso in calo) e alla qualità (non di rado migliore) dei prodotti acquistati.
Uno sguardo al 2011
La crisi finanziaria è stata più grave altrove. L’aggiustamento dei bilanci pubblici sarà maggiore negli altri paesi. Comparativamente, gli italiani non sono messi peggio degli altri. Eppure provano del malessere. Forse è la modesta remunerazione del lavoro e del capitale, che dura ormai da anni, a essere percepita come il segno di un futuro che non sarà migliore del presente. Per uscire dal sentiero della crescita mediocre, bisognerà lavorare molto, e i frutti si potranno vedere solo dopo molti anni. La ricetta è sempre la stessa: va alzata la qualità del capitale umano, vanno costruite infrastrutture migliori, bisogna avere un sistema finanziario capace di far crescere le imprese minori. Tutte cose che si sanno, e che si ripetono da molti anni.
Per il resto, il 2011 non sarà diverso dal 2010. L’andamento più probabile è una crescita intorno a un punto percentuale, con una disoccupazione che si riduce lentamente e un’inflazione intorno a un punto e mezzo percentuale. Insomma, se l’economia fosse una schedina del totocalcio, si direbbe «X».
Il 2011 è l’anniversario dei 150 anni dell’Unità d’Italia. Consoli pensare alle capacità di recupero. Centocinquanta anni fa il reddito italiano pro capite era pari alla metà di quello della Gran Bretagna, il paese allora all’avanguardia. Oggi il reddito italiano pro capite è simile a quello inglese. Centocinquanta anni fa c’era chi diceva che «il vapore degli italiani è il loro sole», che è come affermare che all’Italia spettavano l’agricoltura e il turismo, ma non certo l’industria. Centocinquanta anni dopo abbiamo l’industria e il sole è rimasto.
Pubblicato su: QuadrIndustria 5/2010 – attualità – pp. 4-7
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