Chi ha davvero a cuore la libertà di impresa, le regole di mercato, lo sviluppo economico e la società aperta, non può non guardare con dubbi e perplessità alla piega presa negli ultimi anni dall’economia globalizzata, con una finanza ipertrofica giunta a rappresentare un multiplo del Pil mondiale, in una crisi dell’Occidente di portata immane e forse di durata epocale.

Di queste e molte altre preoccupazioni si fa carico Paolo Gila, giornalista economico-finanziario presso la Rai di Milano, in un saggio dal titolo suggestivo, “Capitalesimo” (Bollati Boringhieri, 270 pagine) assai critico nei confronti dell’alta finanza. Accanto ad alcune analisi acute e ben circostanziate sugli aspetti degenerativi del mondo contemporaneo, nel libro si affiancano altre considerazioni di ordine filosofico, morale e di costume meno convincenti e pertinenti.

Se nella seconda metà del Novecento capitalismo e democrazia sono avanzati di pari passo, oggi invece assistiamo a una sorta di divaricazione, forse a un drammatico divorzio. “Il potere e le sue gerarchie finanziarie e politiche si stanno modificando nel senso di una regressione al modello feudale – sostiene Gila - a seguito dell’altissima concentrazione delle ricchezze nelle mani di pochi individui e centri decisionali”. Di qui il “Capitalesimo”, che presenta “sorprendenti analogie” con l’epoca feudale: come allora “dopo un periodo di prosperità e civiltà, l’Europa e l’Occidente stanno per ripiombare nell’insicurezza, nella povertà, in un quadro politico dove il potere degli Stati si sfilaccia”.

“Nell’università inglese di Oxford, il breve, oscuro e profondissimo scritto di Giordano Bruno, De vinculis in genere, viene stimato come un libro fondamentale per la comprensione del pensiero politico moderno, al pari del Principe di Machiavelli”: muove da questa considerazione, squisitamente filosofica, l’analisi sull’evoluzione negativa del capitalismo odierno. L’uomo “desidera”, dunque l’Eros - non la Ragione, come sosteneva Aristotele – è l’essenza del corpo sociale. Il nuovo ordine contemporaneo è fondato sull’adozione di certi stili di vita, sulla fascinazione delle menti, sulla manipolazione dei consumi, sulla capacità appunto del nuovo “artista-mago“ di creare “vincoli” fantastici per impadronirsi della preda: i cittadini, nuovamente ridotti a sudditi. “Il mago bruniano è il prototipo dei sistemi impersonali dei mass media, della censura indiretta, della manipolazione globale che esercitano fascino e controllo sulle democrazie occidentali”, scrive Gila.

Il dato caratterizzante la nostra epoca è l’enorme crescita di potere di alcuni ristretti circoli finanziari internazionali: una élite di Nuovi Signori “la cui forza speculativa supera la capacità difensiva degli Stati”, ammonisce l’autore, ricordando che proprio Mario Monti, nella conferenza stampa di fine anno 2011, aveva descritto un’Italia “sull’orlo di un burrone senza parapetto, con gli avvoltoi in cielo e delle forze che ci spingevano alle spalle”. Non l’economia produttiva, ma la finanza, impone le sue logiche ai governi.

Nel Medioevo incipiente si assiste così al ritorno della magia (un tipico esempio le pseudoscienze pubblicizzate da Anthony Robbins, “formatore motivazionale”) al conferimento di ricchezze ingiustificate ai “nuovi vassalli”, alla frantumazione degli Stati europei per fare posto a un assetto di tipo “carolingio o anseatico”, cioè sui modelli francese o tedesco. I titolari e gestori di fondi sono “la Nuova Signoria Fondiaria che ha trovato nella cancelliera Angela Merkel la sua ancella e il suo notaio certificatore”.

Gila tiene a precisare di non credere affatto alla teoria delle cospirazioni, tuttavia paventa il rischio che l’intera Eurozona sia posta sotto la diretta influenza della Goldman Sachs, attraverso il finanziamento dei debiti sovrani. “Le crisi sono sorrette da un’intelligenza sopraffina”: i burattinai dei listini dispongono di enormi ricchezze e l’avidità del denaro spinge costoro a creare con la frode e l’inganno enormi bolle finanziarie.

Come nel Medioevo, anche nella nostra epoca si diffondono i virus (sia reali che informatici) e la conseguente paura di contagi spesso inesistenti; come nel Medioevo “sorgono cavalieri” apparentemente senza macchia e senza paura: Onlus, Ong, No profit sono i nuovi ordini Ospedalieri e Templari, che operano esentasse e fuori da ogni controllo, sfruttando il volontariato in regime di concorrenza sleale. Bill Gates, George Soros, Warren Buffet e altri sarebbero i “Nuovi Cavalieri del Santo Sepolcro”, in realtà speculatori senza scrupoli. Lo stesso autore però riferisce che in genere costoro gestiscono la beneficienza “con criteri rigorosamente manageriali, con un controllo millimetrico delle erogazioni e dei donatori e danno un contributo di trasparenza e affidabilità che manca alle donazioni dirette dei governi e delle agenzie internazionali”.

Yunus ha sbagliato, osserva ancora Gila: il micro-credito non funziona e lascia i poveri indebitati a vita, alla stregua di “servi della gleba”. Si calcola che il debito degli studenti universitari americani ammonti a circa mille miliardi di dollari. Altre analogie con l’Età di mezzo sono la nascita delle milizie private (i cosiddetti “contractors”, paragonabili alle Compagnie di Ventura) e il ricorso – nella tutela di immensi patrimoni – al Trust, istituto medioevale per eccellenza, nato proprio all’epoca delle Crociate per garantire nobili e sovrani.

Le pagine più convincenti di “Capitalesimo” sono quelle in cui si denuncia la presenza, nell’azionariato delle principali agenzie di rating, di grandi gruppi finanziari internazionali, titolari a loro volta di fondi sottoposti alle stime di Standard & Poors o Moody’s. “Non è curioso che le agenzie di rating partecipate da BlackRock emettano giudizi su società quotate partecipate da BlackRock per conto di investitori e gestori che hanno rapporti d’affari con BlackRock?” chiede retoricamente l’autore. In effetti c’è qualcosa che non quadra, se è vero che i bond pieni di titoli tossici, emessi dalla Lehman Brothers alla vigilia del fallimento, ebbero il giudizio di massima affidabilità (la famosa “Tripla A”) da parte delle agenzie di rating.

Queste e altre tesi di Paolo Gila fanno riflettere, altre appaiono deboli. L’autore se la prende esageratamente con diete, palestre e fitness, con la chirurgia estetica, con viagra e cialis, con i centri commerciali e le aperture domenicali, con il gioco d’azzardo, con la pubblicità. Un intero capitolo, il decimo, è dedicato alla censura dei villaggi turistici, luoghi di perdizione orgiastica in cui tutto è permesso. Il tono generale del saggio è spesso moralistico, non a caso contesta il filosofo Protagora (481-415 a.C.) e il suo “pensiero relativistico”. Gli esempi non sempre sono calzanti, le citazioni (Vandana Shiva, Noam Chomsky, Marc Augè fra gli altri) non sono sempre le più autorevoli e attendibili.

Nel suo allarmismo, Gila non risparmia nemmeno Facebook, dietro cui “si possono nascondere i pedofili”, e i social network che ci spiano e carpiscono un’enormi mole di dati a tutto vantaggio di grandi Cloud Data Center. “Tutto questo è un’opportunità o un rischio?” si chiede l’autore, dimenticando che opportunità e rischi sono sempre inscindibilmente presenti nelle cose umane. Infatti nei social network “ci sono anche risvolti positivi”, ha cura di aggiungere Paolo Gila. Bontà sua.