Il G20 ha appena proposto – per gli anni a venire – una maggior capitalizzazione delle banche e anche una minor erogazione di dividendi. Fatti i conti, si dovrebbero avere dei robusti aumenti del capitale rischio, che ammonterebbero a circa la metà del valore di borsa delle banche.


Un patrimonio netto pari al 4% dell’attivo, ossia una leva finanziaria di 25 volte, richiede – secondo i conti del Fondo Monetario – alle banche statunitensi ed europee un aumento del capitale di rischio pari a 875 miliardi di dollari. Un patrimonio netto pari al 6% dell’attivo, ossia una leva finanziaria appena superiore alle 15 volte, richiede 1.700 miliardi di dollari. Il valore di borsa delle banche statunitensi ed europee è pari a 2.000 miliardi di dollari. Gli aumenti di capitale necessari per «normalizzare» il settore bancario sono dunque pari – facendo una media delle diverse ipotesi – a più della metà dei valori correnti di borsa (1).
 
Si faccia questo conto: l’attivo sia di 1.000 euro e il patrimonio netto di 20 euro; la leva è pari a 50 (1.000/20). L’utile netto sia di 2 euro, ossia pari al 10% del patrimonio netto. Se il patrimonio netto è portato a 40, la leva diventa pari a 25 (1000/40). L’utile netto passa – tutto il resto essendo eguale – al 5% del patrimonio netto (2/40). Dunque si avrebbe una leva dimezzata, ma anche una caduta della redditività del capitale, che potrebbe durare molti anni, almeno fino a quando le banche non tornano alla remunerazione del capitale antecedente la crisi. I corsi delle azioni bancarie perciò dovrebbero, quando gli aumenti del capitale di rischio saranno varati, flettere o restare deboli. Non così i corsi delle obbligazioni bancarie, perché le obbligazioni – un titolo di debito – ricevono una cedola, che è erogata prima della determinazione dell’utile. Le obbligazioni emesse dalle banche dovrebbero perciò andare stabilmente meglio, a meno che non si abbia un differimento del pagamento delle cedole.
 
Il racconto fin qui fatto sembra «innocente». Sembra. Chi sottoscriverà, infatti, gli aumenti di capitale? Si tenga conto che 1.700 miliardi di dollari equivalgono a circa il reddito nazionale italiano e inglese!

Il mercato? Allora – a meno di un flusso di risparmio immenso che si mobilita solo per le banche – saranno venduti altri titoli per sottoscrivere quelli bancari di nuova emissione. La maggior capitalizzazione delle banche sarà compensata dalla caduta dei prezzi delle imprese non bancarie quotate.
 
Lo stato? Si dovrà giustificare un investimento di questo tenore. E lo si può giustificare solo pagando per le nuove azioni un basso sovra-prezzo (= un prezzo di poco maggiore al valore contabile delle azioni). In questo caso, però, i vecchi azionisti delle banche vedrebbero ridursi – e anche molto – la propria quota di controllo.

Insomma, sarà una vicenda complicata.

 

(1) http://www.ft.com/cms/s/3/9a297da6-9b88-11de-b214-00144feabdc0.html