Il crollo del ponte di Genova solleva molti quesiti. Proviamo a ragionare solo su quelli di natura generale e non sulla cronaca o sulla polemica politica. O meglio, cerchiamo gli strumenti per ragionare su queste ultime. Il primo paragrafo si interroga sulla natura economica dell'autostrada. Il secondo paragrafo si interroga sul capitalismo dei compari. Il terzo è una sorta di prima conclusione a partire da quanto argomentato.
1 – la natura di un'autostrada
L'autostrada è un “bene pubblico”. L'autostrada, infatti, non è disponibile solo quando si vuole, e non è consumabile in via esclusiva. Non è un gelato. Altrimenti detto, l'autostrada c'è, come i Carabinieri e come un lampione – l'ordine pubblico esiste, il lampione illumina sia che io ne usufruisca, sia che non ne usufruisca. Inoltre, se uso il bene ordine pubblico, oppure il bene illuminazione pubblica, non per questo gli altri non possono usarlo.
Detto questo, si pone il problema di come pagare l'autostrada. Essa è gratis, ossia nessun singolo automobilista la paga, perché è pagata dalla fiscalità generale, come in Germania. Oppure la si paga con un abbonamento annuale, come in Svizzera. Oppure a si paga ogni volta che la si usa, come in Francia e in Italia.
Al di là del come, che cosa si paga? La concessione, la manutenzione, l'investimento fisico, il lavoro devoluto per costruire, manutere, e gestire. Non solo, ma anche i costi finanziari del tutto. Naturalmente se residua qualcosa, un profitto lordo, si pagano le imposte. Nel grafico trovate le voci di entrate e di spesa della società che gestisce una parte della rete autostradale italiana cui appartiene il ponte di Genova. Attenzione, in Atlantia – la capo gruppo oggetto delle polemiche che coinvolgono i Benetton – vi sono altre attività, ma esse non sono legate alla vicenda genovese.
L'autostrada è un “monopolio naturale”. Il pedaggio – ossia come si paga l'uso dell'autostrada - non è sottoposto a concorrenza, ossia non si hanno una o più autostrade parallele – come in un film di fantascienza - che concorrono sul prezzo e sulla qualità del servizio. Il prezzo è, essendo l'autostrada unica, deciso, con calcoli non banali, per “via amministrativa”.
La gestione privata di una rete autostradale è -migliore di una gestione pubblica? Per evitare la trappola di mostrare solo i casi che ci danno ragione e torto agli interlocutori, rivolgiamoci ai classici del liberalismo, nientemeno che a Ludwig von Mises. Costui sosteneva che l'errore degli economisti socialisti era quello di non capire che si potevano sostituire – come funzione organizzativa ed esecutiva - i manager del capitalismo con quelli del socialismo, ma che non si potevano sostituire gli imprenditori. Questi ultimi, infatti, svolgono un altro compito, che è quello di apportare - attraverso i mercati finanziari - i capitali alle imprese secondo un sistema di informazioni diffuso e non centralizzato. Perciò l'autostrada non richiede quell'attività imprenditoriale diffusa tipica del capitalismo, perché come tale può essere costruita a partire da una decisione presa dal settore pubblico – come fu fatto a suo tempo dall'IRI. Dunque le autostrade sono diverse dai panettoni che produceva tempo fa sempre l'IRI. I panettoni si producono in concorrenza e l'imprenditore ha perciò un ruolo, mentre le autostrade hanno bisogno di manager e non di imprenditori.
I ponti sono simboli di collegamento e di dialogo fin dalla notte dei tempi. Si pensi al titolo di pontifex = facitore di ponti nell'antica Roma che è arrivato fino ad oggi come titolo papale pontifex maximus = massimo facitore di ponti, ossia di dialogo. I ponti contribuiscono a portare in gita le famiglie, ma sono un pezzo essenziale delle infrastrutture – strade, porti, aeroporti, ferrovie, valichi. Tanto più in Italia, dove le esportazioni sono da qualche tempo la componente dinamica dell'economia.
In conclusione, il crollo del ponte di Genova è una triste metafora della lenta decadenza del Bel Paese, ma il problema delle infrastrutture fatiscenti c'è anche negli Stati Uniti ed in Germania: https://www.ft.com/content/ed8476e8-a1f7-11e8-85da-eeb7a9ce36e4
2 – il capitalismo dei compari
Si ha una rendita “naturale” - pensata da David Ricardo agli inizi de XIX secolo - ed una “sana” - pensata da Joseph Schumpeter agli inizi del XX secolo. La prima è quella delle terre agricole. Man mano che cresce la domanda si coltivano delle terre meno produttive, ciò che avviene con dei prezzi che giustificano la loro messa a coltura. Ergo, le terre più produttive hanno dei ricavi (hanno gli stessi prezzi di quelle meno produttive) maggiori dei loro costi (hanno dei costi inferiori a quelli delle terre meno produttive), ossia hanno (un reddito come differenza fra ricavi e costi) una rendita. La seconda è legata all'innovazione: chi innova per primo ha un sovra profitto che poi scompare perché il nuovo prodotto, il nuovo metodo di distribuzione, la nuova struttura produttiva, eccetera, sono imitati dalle imprese che innovano per seconde. I prezzi scendono per effetto della concorrenza, e così il sovra profitto (la rendita dell'imprenditore) scompare, mentre i frutti dell'innovazione si distribuiscono ai consumatori.
La rendita di cui si parla quando si discute di “crony capitalism” non è né quella “naturale” né quella “sana”, perché ha origine dalla protezione legale di cui usufruisce un comparto produttivo che diventa monopolista. Alcuni settori beneficiano più di altri nell'estrazione delle rendita in quanto regolati o legati all'intervento pubblico: la finanza, l'energia, le infrastrutture, il settore immobiliare. Abbiamo anche la protezione legale di alcuni comparti professionali - come i farmacisti, i tassisti, i notai.
Più in generale possiamo definire rendita quel reddito che si forma a seguito di una scarsità, “naturale” come la terra, oppure “sana” come l'innovazione, oppure “artificiale”, se si ha una protezione legale che dia luogo a posizioni di monopolio. La rendita si distribuisce anche in campo salariale. I dipendenti sindacalizzati dei monopoli sono protetti molto più dei dipendenti dei settori in libera concorrenza. Non solo i dipendenti sindacalizzati dei monopoli protetti hanno un reddito che in parte è una rendita, ma anche altri, dal momento che la rendita artificiale è diffusa. Con la diffusione della rendita immobiliare capiamo perché i piccoli proprietari siano contrari alle imposte di successione: https://www.centroeinaudi.it/lettera-economica/articoli-lettera-economica/commenti/4825-immobili-e-diseguaglianza.html
Proviamo a misurare - per quanto possibile - il fenomeno del capitalismo dei compari: a) Si prendono i patrimoni dei grandi ricchi - i multimilionari, b) si sommano (in blu scuro) i patrimoni quando hanno origine nei settori tipici del capitalismo dei compari, come definiti prima, e quando hanno origine negli altri settori (in blu chiaro), c) li si mettono in rapporto con il PIL del Paese d'origine della ricchezza, e d) si ottiene la classifica (vedi gli istogrammi). Questa classifica non è un indice di corruzione, perché i multimilionari possono essere un tramite trasparente fra il privato ed il pubblico. La classifica è un modo per osservare la concentrazione della ricchezza quando si abbia una concorrenza limitata o nulla. I Paesi in via di Sviluppo sono quelli che mostrano la massima concentrazione della ricchezza che trae origine dai settori protetti. I multimilionari “da rendita” controllano, infatti, il 50% in media della ricchezza complessiva dei multimilionari dei rispettivi Paesi. Nel caso dei Paesi sviluppati la percentuale è modesta, in media pari al 15%. Il Paese con la massima concentrazione della rendita è la Russia, quello con la minore concentrazione è la Germania. Manca purtroppo nela tabella l'Italia.
3 – considerazioni finali
Il ponte di Genova è gestito da una impresa che ha ottenuto la concessione ad operare dallo Stato. Ergo è un'impresa che agisce in un settore regolato, nella fattispecie dove i profitti sorgono se la gestione controlla i costi, mentre i ricavi (unitari da pedaggi) sono crescenti, come mostra il grafico. L'impresa in questione ha ottenuto dei pedaggi crescenti (che hanno compensato la caduta del traffico) e quindi (avendo controllato i costi) è in attivo, e perciò si presta ad essere oggetto di polemiche per l'accusa della mancata manutenzione del famigerato ponte.
Abbiamo così: 1) un bene pubblico, 2) che è un monopolio naturale, 3) che funziona con i manager e non con gli imprenditori, 4) che riveste una grande importanza per il funzionamento dell'economia. Quest'attività è da tempo 5) in concessione ai privati che – grazie ai pedaggi e al controllo dei costi – hanno avuto dei ricavi più che sufficienti per pagare la concessione, gli investimenti, la manutenzione, e il lavoro. Crollato il ponte, si ha chi ripropone – oltre alla ovvia e giusta richiesta dei danni - il ritorno della gestione statale. Si ha così da parte dell'esecutivo un attacco ad una rendita specifica, attacco che non coinvolge le altre rendite, da quelle professionali a quelle immobiliari, che sono molto più diffuse.
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