Prendiamo la media delle variazioni di un indice azionario, compresi i dividendi distribuiti, per un periodo sufficientemente lungo e sottraiamo al valore ottenuto la media, nello stesso periodo, del tasso governativo a 10 anni: quello che rimane viene chiamato premio per il rischio, vale a dire quant’è il sovra rendimento richiesto all’investimento azionario, definito rischioso, rispetto al rendimento delle obbligazioni governative, definite non rischiose.

La scadenza delle obbligazioni è decennale per convenzione, essendo 10 anni un periodo di tempo ritenuto ragionevole come termine di confronto con le azioni che, viceversa, non hanno scadenza. Su questo tema il dibattito è apertissimo, la letteratura è infinita e i valori che vengono fuori sono veramente molto diversi a seconda delle metodologie, dei mercati e degli archi temporali utilizzati (un’ottima sintesi in (1)). Ultimamente The Economist ha nuovamente affrontato l’argomento (2)(3).

Facciamo una prova. Prendiamo la media delle variazioni dell’indice S&P 500 degli ultimi venti anni, compresi i dividendi distribuiti, e sottraiamo al valore ottenuto la media nello stesso periodo del tasso governativo americano a 10 anni. Ripetiamo lo stesso calcolo anche per il mercato giapponese. Utilizzare Stati Uniti d’America e Giappone aiuta perché rappresentano, oltreché che sé stesse cioè due tra le maggiori economie al mondo, aree valutarie omogenee e con livelli di valutazione di merito sulle emissioni governative costantemente su valori massimi, tali da garantire la netta distinzione tra attività rischiose (azioni) e non rischiose (titoli governativi). Spesso per questi calcoli vengono utilizzate serie storiche secolari che appiattiscono i cambiamenti e normalizzano le sottofasi che, viceversa, per gli investitori sono elementi particolarmente importanti, se non altro per la loro contingenza. In ogni caso, possiamo considerare l’ultimo ventennio abbastanza particolare da poter essere considerato sia sufficientemente lungo che significativo.

Il risultato ci dice che il premio per il rischio americano è pari al 5% (nella media dei valori secolari) mentre quello giapponese è persino leggermente negativo, quasi il rischio fosse invertito ovvero a carico delle obbligazioni governative. Se affianchiamo il premio per il rischio alla crescita dell’economia nel periodo (misurata dalla media delle variazioni del Prodotto Interno Lordo Nominale) troviamo che entrambe le economie mostrano valori simili tra queste due variabili.

1992 - 2011

Azioni

Rendimento

Premio

Var PIL

a

b

a-b=c

d

Stati Uniti

9,81%

4,80%

5,01%

4,75%

Giappone

1,76%

1,97%

-0,21%

-0,06%

Ha senso? Se sì, vorrebbe dire che chi investe in azioni chiede di avere, in aggiunta al rendimento del tasso senza rischio, la crescita economica comprensiva di inflazione. Il caso giapponese ci direbbe che, in caso di crescita nominale negativa, il mercato azionario presenterebbe uno sconto per il rischio, affermazione forte sotto qualunque punto di vista. Come, l’economia è costantemente in recessione e gli investitori preferiscono le azioni che, oltretutto, rendono meno? E’ un mondo alla rovescia ma non tanto se anche gli Stati Uniti mostrano valori molto vicini tra premio per il rischio azionario e crescita nominale.

Come per la temperatura atmosferica potremmo aggiungere al rischio calcolato il rischio percepito, vale a dire il tasso di sensibilità soggettiva e collettiva che si somma al “semplice” confronto fra rendimenti e che necessità di altri strumenti di misurazione (ad esempio, la volatilità). Inoltre, nei confronti con il passato remoto bisogna tenere conto dell’aumento significativo della quantità e della dimensione degli strumenti finanziari a disposizione (obbligazioni societarie in testa ma anche ogni altra nuova forma di strumento, ETF, ETC, ABS, RMBS, CDO, ecc.) avvenuta nel corso del tempo che obbligherebbe a definire il premio per il rischio specifico per ogni singola classe di attività intermedia tra azioni e obbligazioni.

Alla fine possiamo fare due considerazioni: a) che sia richiesto uno sconto per detenere azioni in un mondo di distribuzione del rischio mutato non è forse così folle: se la diversificazione abbatte il rischio, è sicuramente maggiore sul mercato azionario che sulle emissioni governative di un singolo Stato. Forse gli investitori giapponesi hanno ragionato così negli ultimi venti anni dopo lo scoppio della crisi immobiliare (la media del premio per il rischio in Giappone nel periodo 1900-2002 è stata tra il 5% e il 10%, sempre fonte (1)); b) se il legame tra ciclo azionario e ciclo economico (4) è sfasato significa che gli investitori cominciano a comprare azioni, e quindi a ritenere il rischio basso e accettabile, anticipando le fasi acute delle recessioni, cioè quando tutto è veramente buio; viceversa, sono venditori prima che l’economia raggiunga il momento di maggiore forza, ritenendo il rischio alto e insostenibile, quando il sole splende. Quindi, basta rispondere alla domanda: quanto e lunga e profonda la recessione?

  1. Pablo Fernandez, “Market Risk Premuim: Required, Historical, Expected”, ottobre 2004, WP 574, IESE Business School

  2. (2) http://www.economist.com/node/21550273

  3. http://www.economist.com/node/21550307

  4. “I cicli del Dow Jones”, Lettera Economica, 28/1/2012