I risultati delle elezioni nel Regno Unito sono state variamente commentate nel Bel Paese. Vi è chi le legge in chiave interna. Secondo alcuni, la grave sconfitta del Labour anticipa quella futura del PD, semmai quest’ultimo seguisse una opzione di sinistra estrema come ha fatto Corbyn. Secondo altri, la decisione di uscire dall’Unione Europea è un segno ulteriore che quest’ultima ha fatto il suo tempo.
Infine, si ha una lettura “geo-politica”. Quest'ultima non è una lettura in chiave interna. Per tenere il Regno Unito sotto la direzione degli Inglesi, ossia per evitare il rischio che questi ridiventi disunito, perché potrebbe perdere gli Scozzesi e gli Irlandesi del Nord, si è cercato - attenzione, gli inglesi, non i londinesi ... - di tenerlo unito attraverso un scontro con l’esterno, alias l’Unione Europea. Allo stesso tempo, si offre - nella ricerca di una nuova identità che ricrei un’unità che si teme che possa essere perduta - un’opzione neo-imperiale, o, meglio, un ruolo di protagonista nella Anglo-sfera - Stati Uniti, Canada, Australia, Nuova Zelanda (vedi - 1).
Vediamo che cosa dicono di se stessi i diretti interessati.
-- Una prima nota sul voto. Hanno votato per i Conservatori e alleati circa 15 milioni di persone. Per i Laburisti, il Partito Scozzese, e i Liberal Democratici circa 15 milioni di persone. Il sistema inglese premia chi arriva per primo nel collegio uninominale e quindi “deforma” i risultati intesi come numerosità degli elettori per opzione politica. I conservatori hanno, infatti, avuto circa 360 seggi e gli altri 260. Non possiamo così affermare che i britannici hanno votato “in massa” per l’uscita dall’Unione e per il progetto neo-imperiale. Delle considerazioni simili furono fatte ai tempi della vittoria di Trump, che prese meno voti assoluti della Clinton. Il voto per fasce si è diviso in questo modo: i giovani hanno votato soprattutto per i laburisti e per i liberal democratici, i meno istruiti per i conservatori, mentre gli uomini e le donne hanno diviso equamente il voto (vedi - 2).
-- Una seconda nota sui laburisti. Corbyn è dipinto come un’estremista che vuole 1) espandere oltremisura la spesa pubblica, 2) nazionalizzare le imprese di pubblica utilità, 3) trasformare in azionisti di minoranza i lavoratori delle imprese maggiori, ma anche come un antisemita. Si può argomentare che la scelta dei Laburisti di andare molto a sinistra non è stata una decisione del solo Corbyn, e che questa scelta non implica una condivisione da parte dei membri del suo partito dell’antisemitismo di cui lo si accusa (vedi - 3). La scelta dei laburisti di andare verso la sinistra estrema si era palesata anche nei primi anni Ottanta con Michael Foot. In seguito alla sconfitta elettorale e al dilagare della politica della Thatcher, la scelta fu di cambiare completamente percorso con la “Terza via” di Tony Blair. In ogni modo, va notato che con le ultime elezioni i laburisti hanno perso molti voti popolari nelle loro aree storiche. Voti persi sia per effetto del passaggio ai Conservatori, sia per le astensioni. Voti che, per effetto del sistema maggioritario, hanno accentuato la sconfitta (vedi - 4).
-- Una terza nota sui conservatori. Prima della vicenda della Brexit i conservatori (con Cameron) erano “liberisti” in economia e “”libertari”” nel campo di diritti civili. Con le ultime elezioni i conservatori (con Johnson) lo sono meno. Nella ricerca del voto popolare hanno, infatti, promesso più spesa pubblica, più aiuti alle imprese in difficoltà, e una stretta in campo giudiziario e in quello delle immigrazioni. In questo modo, Johnson è riuscito a tenere insieme il voto popolare e quello delle élite, come è riuscito (ecco un’altra similarità) a Trump. Non proprio di tutte le élite, perché alcune, soprattutto londinesi, non lo hanno votato. Insomma, il conservatori mostrano delle ambiguità per ora sommerse dalla vittoria elettorale (vedi - 5).
1 - http://www.limesonline.com/cartaceo/be-british-boys
3 - https://www.economist.com/britain/2019/12/13/jeremy-corbyns-crushing-defeat
4 - https://www.ft.com/content/bc09b70a-1d7e-11ea-97df-cc63de1d73f4
5 - https://www.economist.com/leaders/2019/12/13/victory-for-boris-johnsons-all-new-tories
Nota a margine: perché si fanno delle scelte estreme?
Una parte - ultimamente non modesta della popolazione dei Paesi sviluppati - vota per delle politiche non realistiche. Perché mai sono chieste delle soluzioni non realistiche (o, se si preferisce, estreme) come nella fattispecie britannica l'uscita dall'Unione Europea e la sua sostituzione con il sogno neo-imperiale della Anglosfera?
Ecco un'ipotesi (vedi - 1). Più la situazione è vissuta come disperata, ossia se penso che vivrò molto peggio, e così i miei figli, più si alza la “propensione al rischio”. Se la probabilità che le cose continuino ad andare peggio la giudico altissima, quasi certa, allora tanto vale rischiare. Un po' come una squadra di calcio che sta perdendo quattro a zero mezz'ora prima della fine della partita, e che si butta all'attacco, rischiando, perché si sbilancia molto, di prendere altri quattro goal. Il ragionamento prevalente diventa quello di una politica cui non credo più, e quindi tanto vale cercarne un'altra, perché tanto “così non si può andare avanti”.
Ecco un esempio più raffinato (vedi - 2). La lotteria è una perdita secca per chi gioca, perché la metà degli introiti dei biglietti è trattenuta dallo stato. Ergo la popolazione come tale non dovrebbe giocare. Diverso è il caso degli individui. Se sono senza speranza, se sono disoccupato, se non sono più giovane, anche se la probabilità di avere il biglietto giusto è una su un milione, se quel biglietto mi arriva, ecco che mi cambia la vita. E lo compro.
1 - http://stumblingandmumbling.typepad.com/stumbling_and_mumbling/2016/05/prospect-theory-populism.html
2 – Reuven Brenner, Gabriel Brenner, Aaron Brown, A World of Chance, Cambridge University Press, 2008
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