La valutazione del mondo obbligazionario da parte delle agenzie di rating ha visibilmente cambiato faccia negli ultimi cinque anni (dal fallimento di Lehman Brothers). Abbiamo provato a misurare la dimensione del cambiamento. Per farlo utilizziamo un indice molto ampio (Barclays Multiverse) contenente a giungo 2013 circa 18.000 emissioni (governative, municipali, societarie, agenzie, ecc.) per un controvalore intorno ai 43.000 miliardi di dollari. Nel dicembre 2008 il rating medio ponderato per il valore di mercato era poco superiore ad AA. Se ponderato per il numero di emissioni il rating medio si aggirava intorno ad A-. Segno di un peso specifico delle emissioni di qualità elevata dominante rispetto alle emissioni meno sicure.
Bisogna aggiungere che a dicembre 2008 il numero di emissioni era inferiore, circa 16.500, come anche il controvalore di mercato, meno di 30.000 miliardi di dollari. La situazione a giugno 2013 è cambiata. Il rating medio ponderato per il valore di mercato è sceso di un gradino ad A+ mentre è salito di un gradino, A, in termini di numerosità. Ciò significa che sono diminuite le emissioni di scarsa qualità ma è peggiorata la qualità complessiva delle emissioni. Anche i tassi erano diversi: a dicembre 2008 il tasso medio ponderato era il 3,7%, ad aprile 2013 era arrivato al 1,8%, valore che a giugno 2013 era già risalito di cinquanta centesimi fino al 2,3% e probabilmente è ancora in aumento.
Nella analisi di moli così significative di dati si rischia di andare avanti all’infinito scoprendo incessantemente nuovi aspetti in parte apparentemente ovvii, in parte meno. Ne segnaliamo alcuni. Il primo riguarda l’Italia. Il peggioramento del rating dei titoli governativi italiani è stato più marcato, passando da A+ del 2008 a BBB di oggi, con una discesa di quattro gradini. Peraltro il tasso dei titoli a tasso fisso (BTP) è sceso dal 4% a poco sopra il 3,5% così come è sceso il peso delle emissioni italiane. Non è una novità, avendo più volte segnalato l’effetto della riduzione negli indici del peso del debito italiano come una delle concause generatrici della formazione dello spread. Per paradosso, l’aumento del peso delle emissioni spagnole all’interno degli indici può generare acquisti automatici da parte dei fondi passivi (quelli che replicano gli indici come gli ETF) nonostante il tasso del Regno di Spagna sia l’unico ad essere cresciuto dal 2008.
Come si può notare, l’Italia (dopo il Giappone ma da livelli assoluti ben diversi) è il paese che registra il maggior calo in termini relativi del peso delle emissioni governative. L’Olanda è stabile mentre tutte gli altri emittenti crescono anche significativamente, in particolare Stati Uniti e Regno Unito. Alla luce di queste indicazioni statistiche sembra evidente che ci sia un notevole spazio di miglioramento. Soprattutto, una incisiva azione di governo tesa alla riduzione dei costi e al miglioramento dell’efficienza della pubblica amministrazione (in qualità di emittente) può evitare che si diffonda la convinzione che anche chi parte da livelli di tassi più alti, e in particolare più l’Italia che la Spagna, debba partecipare ad un ipotetico scenario di tassi crescenti.
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