Intanto la crescita. Un 10% circa è un numero mostruoso ai nostri occhi, bisogna vedere in Cina. Questo 10% sembra essere diventato il valore medio della crescita. Negli ultimi anni essa è stata appena sopra, ma ora potrebbe andar appena sotto, se, rallentando la crescita degli Stati Uniti, le esportazioni cinesi crescessero meno. Ogni anno milioni e milioni di persone vanno a lavorare in città, lasciando la campagna e moltissime persone terminano gli studi e cercano lavoro. La crescita cinese “giusta” è allora quella che occupa senza difficoltà questa gente. Una crescita che una volta era stimata intorno al 8% ed oggi intorno al 10%. Proprio come nell’Italia del dopoguerra quando, a fronte dell’emigrazione dalle campagne e dal Meridione, si aveva una crescita economica nell’ordine del 5%. In Italia una crescita del 5% oggi sarebbe anomala. La popolazione in Italia infatti decresce a causa della natalità negativa, meno di 2 figli per donna, e gli spostamenti dalle campagne non ci sono. Una variazione del PIL del 5% potrebbe quindi essere solo il frutto di uno forte shock di produttività, che peraltro non potrebbe durare per molto tempo. La crescita della Cina non è enorme ma giusta in rapporto alla necessità di assorbire nei settori moderni i contadini e gli studenti. A fronte di una crescita giusta abbiamo un tasso di inflazione elevato, intorno al 6,5%. Questo tasso è frutto soprattutto della crescita dei prezzi dei beni alimentari. In un paese povero, quale la Cina è, le famiglie spendono una parte cospicua del reddito solo per alimentarsi. In una paese ricco, invece, si spende molto per altri bisogni. La crescita del prezzo dei beni alimentari è un problema. Abbiamo in conclusione una crescita appena capace di assorbire l’enorme e in frenabile offerta di lavoro ed un tasso di inflazione alto.
In Cina, spesso lo si dimentica, esiste un unico partito, non vi sono elezioni, ed i mercati sono embrionali. In borsa arriva il risparmio. I prezzi salgono. Se salgono troppo, i.e. sopra il valore di lungo periodo, non esiste un meccanismo che possa frenarli. Il meccanismo è composto dai fondi professionali di investimento e dalle vendite allo scoperto. I primi per agire, ossia per vendere quando i prezzi sono saliti troppo, dovrebbero conoscere bene e aziende, ma la trasparenza in Cina è assai modesta. I secondi per agire dovrebbero di nuovo conoscere bene le aziende e dovrebbero poter prendere a prestito i titoli per poi venderli. Questa operazione è vietata. Quando i prezzi salgono troppo non si mettono insomma in moto i meccanismi di mercato che li possono fermare. Una borsa decisamente speculativa. Una borsa speculativa si muove non sui fondamentali, ossia sull’andamento di lungo termine delle imprese quotate, ma sulle variazioni delle aspettative di breve termine su quale sarà la domanda e l’offerta.
Il governo fa intendere (come in gennaio) che non potranno venir commercializzati dei nuovi fondi comuni (la domanda di titoli sarà nel prossimo futuro minore), ed ecco che la borsa cade del 15%. Il governo fa intendere (in questi ultimi giorni) che potranno venir commercializzati dei nuovi fondi comuni (la domanda di titoli sarà nel prossimo futuro maggiore), ed ecco che la borsa sale del 8%. Il mercato finisce che si muove a seconda delle congetture che gli operatori si fanno sulla volontà del governo. Il quale, se la borsa sale troppo, mostra di non gradire, se cade troppo, mostra di nuovo di non gradire. E come se il governo fosse, nello stesso tempo, un fondo professionale ed un venditore allo scoperto. (Mette conto notare che esso non rende conto delle proprie azioni, a differenza dei fondi professionali e dei venditori allo scoperto). Un cenno che viene chiuso il rubinetto della liquidità in arrivo, ed il mercato casca. Un cenno che viene aperto il rubinetto della liquidità in arrivo, ed il mercato rimbalza. Chi, occidentale, investe in Cina diventa un suddito virtuale della benevolenza di quel governo. E finisce inconsapevolmente col comportarsi come un suddito che chiede al suo signore di aprire i magazzini pieni di grano quando il raccolto è misero.
Pubblicato su L'Opinione il 5 febbraio 2008
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