L’oro ha raggiunto per la seconda volta – la prima fu nel marzo del 2008 – il prezzo simbolico di 1.000 dollari per un’oncia. Per avere evidenza visiva del processo in corso, possiamo dividere il prezzo dell’oro in dollari per il cambio del dollaro con le principali valute: sembra di assistere a una «corsa all’oro» e un’uscita dal dollaro (1). Le scuole di pensiero sono due: quella secondo cui il dollaro è debole perché il mondo si sta riprendendo; e quella secondo cui il dollaro è debole perché gli Stati Uniti hanno i conti deteriorati.

La prima scuola di pensiero sostiene che, se il mondo si riprende, ci si indebita in dollari per comprare le altre attività finanziarie. Il dollaro è quindi venduto e le altre valute – quelle che denominano le attività finanziarie più rischiose – comprate. Le valute in questione sono quelle dei paesi emergenti e dei paesi che esportano materie prime, come l’Australia. Il dollaro debole è quindi un ottimo segno. Secondo chi segue questo punto di vista, la decisione del G20 di continuare con le politiche economiche «lasche» per alimentare la ripresa, spinge nella direzione del dollaro debole.
 
La seconda scuola di pensiero sostiene che il dollaro è debole perché il resto del mondo sta lentamente uscendo dalle attività finanziarie statunitensi, giudicate rischiose. Il dollaro debole è quindi un pessimo segno, perché quello che tuttora è il centro finanziario del mondo è giudicato poco attraente.
 
I cinesi, che sono ormai i maggiori creditori degli Stati Uniti, hanno prima diversificato dal dollaro comprando materie prime industriali, come il petrolio e il rame, e ora sembra che vogliano incrementare le proprie riserve di oro (2). Da qualche tempo, insomma, dietro il movimento delle materie prime ci sono i cinesi. Quanto alle loro attività che sono ancora in dollari, sembra che i cinesi abbiano venduto le obbligazioni più rischiose – come quelle legate ai mutui ipotecari – per comprare i titoli di stato a breve scadenza. Insomma, i cinesi diversificano dal dollaro mentre riducono – laddove detengono ancora investimenti – il rischio.
 
Pensiamo che la seconda scuola di pensiero sia più «realista» (3), perciò interpretiamo negativamente la debolezza del dollaro.
 

(1) http://www.zerohedge.com/sites/default/files/images/GLDDXY.jpg

(2) http://www.telegraph.co.uk/finance/economics/6146957/China-alarmed-by-US-money-printing.html

(3) http://www.centroeinaudi.it/notizie/due-scuole-di-pensiero-sulla-debolezza-del-dollaro.html