Se uno compra le azioni europee, paga dieci volte gli utili delle imprese (prezzo su utile: price-to-earning ratio). Se, invece, uno compra le azioni statunitensi, paga quindici volte gli utili delle imprese. Ossia, nel caso europeo, il rendimento delle azioni (utile su prezzo: earning yield ratio) è del 10%, in quello statunitense del 6,5%. I rendimenti dei titoli di stato a lungo termine europei e statunitensi non sono dissimili, circa il 3,5%. Dunque le azioni europee non sono care in assoluto e sono meno care di quelle statunitensi. Attenzione, però: il conto è fatto prendendo la media degli utili degli ultimi dieci anni; in questo modo si prendono i picchi (quando «tutto va bene») e gli avvallamenti (quando «tutto va male») dei risultati delle imprese – un conto che possiamo dire «sobrio», ma, ovviamente, non si calcolano i prezzi in rapporto agli utili che si materializzeranno in futuro.
Proponiamo (si vedano le prime due figure in basso) i grafici sui rapporti fra prezzi correnti e utili decennali in Europa e negli Stati Uniti, come calcolati dalla Banca Centrale Europea.
Possiamo immaginare – a noi pare la cosa più probabile – un futuro con una crescita economica modesta, inferiore a quella degli ultimi anni. [Si veda la nota aggiunta il 3 luglio, riportata qui sotto] Dunque, un futuro con utili che crescono poco. Allo stesso tempo, è probabile che i rendimenti delle obbligazioni salgano, per effetto delle notevoli emissioni di debito pubblico volto a contenere la crisi. Se ne trae che la borsa europea non è cara, ma non ha motori che la possano spingere a salire senza interruzione – come avverrebbe con gli utili in forte ascesa e con i rendimenti delle obbligazioni in discesa. A nostro avviso, la stessa cosa vale per la borsa statunitense.
Abbiamo allora un mercato azionario che non è caro, ma è privo di trazione «in grande stile». Abbiamo però avuto una trazione «in piccolo stile».
Negli ultimi tempi la borsa europea è salita sull’onda dell’idea che le cose ormai stavano «smettendo di peggiorare». Che cosa accadrebbe, invece, se le cose riprendessero ad «andar male»? Ossia, come sembra stia accadendo, se la disoccupazione non rallentasse la propria crescita; se, come sembra stia accadendo, aumentassero i morosi nel mondo dei mutui ipotecari; se, come sembra stia accadendo, le banche tornassero a chiedere aiuti pubblici, oppure a emettere azioni, con ciò drenando la liquidità che potrebbe volgersi a comprare le azioni delle altre imprese? Il mercato azionario europeo resterebbe fermo sui livelli correnti «perché non è caro» oppure ricomincerebbe a scendere? Questo è il punto.
I mercati azionari, nel lunghissimo termine, seguono i cosiddetti «fondamentali» (gli utili delle imprese e i rendimenti delle obbligazioni), ma nel breve termine hanno dinamiche proprie: seguono la tendenza che si è formata e, quando si discostano «troppo», regrediscono. Ossia, seguono un trend (non lineare) e quando deviano troppo (si misura con la deviazione standard) rimbalzano o cadono. Se sono saliti troppo scendono, altrimenti salgono.
Il nostro grafico (la terza e ultima figura in basso) mostra il punto sulla borsa europea. La linea blu traccia la tendenza dal minimo di marzo. Che cosa ci dice l’analisi statistica del mercato europeo? Il mercato azionario sta perdendo progressivamente spinta dagli inizi di giugno. Gli andamenti giornalieri sono distribuiti all’interno della prima banda di oscillazione – la linea arancione –; non hanno quindi la spinta per salire, come accadrebbe se andassero sulle bande inferiori viola e rossa, né a scendere, come accadrebbe se andassero sulle bande superiori viola e rossa. Insomma, l’analisi statistica ci dice che il mercato azionario è molto «tranquillo» – sta infatti dentro le bande arancioni. Ma ci dice anche che il mercato azionario sta perdendo propulsione, perché le nuove informazioni sui «germogli di ripresa» non convincono come accadeva fino a poco tempo fa – la linea blu sta infatti piegando.
Conclusione: se cominciano ad arrivare informazioni di stampo «negativo», il mercato azionario europeo dell’area dell’euro, che già stava rallentando, secondo noi, finirebbe con il piegare all’ingiù, sebbene non sia caro.
Nota aggiunta nella mattinata del 3 luglio
È finalmente uscito l’atteso studio della Commissione europea (1) sulle prospettive economiche. Il primo approfondimento – da pagina 27 in avanti – discute la possibilità di una riduzione permanente del tasso di crescita europeo. Ecco il sommario:
This focus section analyses the consequences of the ongoing economic and financial crisis on potential output and growth and assesses the policy implications. Financial crises can impact potential output via their effect on labour input and productivity. Looking back, available historical evidence shows that financial crises are deeper and last longer than other recessions. They also tend to have a permanent negative effect on the level of output, shifting the economy down to a lower expansion path. Available evidence on the impact of financial crises on long-term growth is mixed but a closer look at a broader sample of crises, including non-financial recessions, points to a substantial risk of a TFP-driven drop in potential growth after recessions. Projections of the Output Gap Working Group up to 2010 and medium-term Quest simulations suggest that the most likely scenario is that the current crisis will lead to a sharp drop in euro-area potential growth in the short term, followed by a slow return to pre-crisis potential growth. However, risks of a more permanent downshift in potential growth should not be ruled out. To contain the permanent losses in the level of potential output traditionally associated with financial crises and to reduce the risks of a lasting deceleration of TFP growth, timely and appropriate policy responses –encompassing a wide range of measures and covering several reform areas– need to be put in place. Moreover, policy mistakes, albeit politically tempting, must be avoided at all costs (i.e. protectionist policies undermining the Single Market, measures reducing labour supply, and unsustainable public finances).
L’eventuale riduzione del tasso di crescita comprimerebbe la dinamica dei profitti e quindi abbasserebbe l’attrattività nel lungo termine dell’investimento in azioni.
(1) http://ec.europa.eu/economy_finance/publications/publication15487_en.pdf
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