Nella puntata precedente avevamo ricordato che circa dal 2005 si pensava ad una crisi con origine in Oriente. La crisi, invece, si è manifestata ad Occidente. Quella del 2008 non è stata una crisi dei soli Stati Uniti. Il sistema finanziario europeo era, infatti, fortemente indebitato in dollari e non sapeva dove reperirli. Successivamente è emerso il nodo della diseguaglianza, mentre l'Unione Europea in generale e l'Euro-zona in particolare mostravano delle crepe nella governabilità.
1 – La rivoluzione evitando i rivoluzionari
Chi si preoccupa per come sta andando il mondo, non ha torto. La preoccupazione ha – tra le sue molte sorgenti - la diseguaglianza. Quest'ultima è, allo stesso tempo, riducibile ma non eliminabile (1). Inoltre, la diseguaglianza è tornata a dipendere dal meccanismo ereditario (2). I più preoccupati per questo andamento sono quelli, come i liberal statunitensi, che vedono all'opera la delegittimazione di uno dei criteri fondanti la civiltà occidentale moderna – il merito. Se, infatti, le differenze sociali fossero il portato della “volontà divina”, come si credeva un tempo, una posizione sociale “immota” potrebbe essere accettata. Se le differenze sociali si accettano – come avviene oggi - se sono - in qualche modo - centrate sulle differenze di merito, ecco che diventano illegittime – o difficili da giustificare - le differenze che si formano per ereditarietà.
La ricchezza è in parte “inventata” dagli imprenditori, e in parte ricevuta in eredità per “lotteria biologica”. Quanta parte della ricchezza è inventata e quanta ereditata? In Francia dal 1850 al 1910 il 90% della ricchezza era ereditato - perciò il 10% era frutto dell'iniziativa imprenditoriale. Nel 1970 veniva ereditato meno del 50% della ricchezza. Oggi siamo al 60%. Questa è la ricchezza, ossia azioni, obbligazioni, immobili, complessiva – lo stock. Osserviamo ora la parte dello stock di ricchezza che ogni generazione eredita – il flusso. Nel XIX secolo il 10% di ogni generazione riceveva in eredità un reddito pari a quanto guadagnava nel corso della vita il 50% della popolazione meno abbiente. Poi si è avuto il crollo fra le due Guerre, quando solo il 2% di ogni generazione aveva un reddito ereditato pari al reddito di una vita di lavoro dei meno abbienti. Negli ultimi tempi siamo tornati sopra il 10%. Se oggi si ereditano 750 mila euro, si guadagna quanto una persona con un reddito di 15 mila euro – il reddito normale della gran parte della popolazione meno abbiente - guadagna in 50 anni di vita. Anche un'eredità che non stupisce per la propria consistenza consente oggi di vivere con una libertà che altri sognano.
Come mai la ricchezza - dopo essere caduta dal 1914 al 1980 per le due guerre mondiali, per la depressione degli anni Trenta, e per le rivoluzioni (3) – è tornata dagli anni Settanta a crescere? Una relazione prettamente empirica afferma che è sufficiente che il reddito del capitale ("r" – rent, che sta per profitti d'impresa, rendite fondiarie, e rendite derivanti dall'investimento in obbligazioni) cresca più del reddito nazionale ("g" – growth) per avere una accumulazione di ricchezza maggiore della crescita economica. "Rent" ruota nel lungo termine intorno al quattro per cento, "growth", sempre nel lungo termine, intorno al due per cento.
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Digressione: il punto di vista keynesiano
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Fin qui la crescita della ricchezza sopra quella del reddito. Altro tema è la disoccupazione che non si riesce ad eliminare. Di seguito in estrema sintesi la tradizione keynesiana. Se, invece, il rendimento del capitale - g - alla lunga fosse decrescente – ossia, se generasse dei margini lordi sempre più risicati man mano che il capitale viene accumulato, e se, nel contempo, il tasso di interesse non scendesse a sufficienza, ecco che si avrebbe una caduta degli investimenti. Gli investimenti che rendono più del loro costo finanziario sarebbero, in questo caso, in numero decrescente. Con la loro compressione si avrebbe una riduzione della crescita del reddito. Con meno investimenti, l'economia, infatti, cresce meno. E dunque genera anche minor occupazione. Ecco il paradosso nella "povertà nell'abbondanza". Le società ricche non riescono ad abolire la disoccupazione strutturale e quindi la povertà. Per incentivare gli investimenti si potrebbe spingere in basso il costo finanziario per le imprese. Facendo così si favorirebbero gli "spiriti animali" degli imprenditori nonché l'occupazione, ma si colpirebbero gli interessi dei rentier. Se questi ultimi non ci fossero – se ci fosse la loro "eutanasia" – si potrebbe spingere più in là l'accumulazione del capitale e quindi l'occupazione.
Una parte della cittadinanza finisce - fintanto che non si è risolto il nodo della povertà - per restare “indietro”. Da qui il timore che molti finiscano per rifiutare il “destino” che li attende, e che il rifiuto possa portare alla non-governabilità. Si possono avere le “Rivoluzione con i Rivoluzionari”. Le masse dirette dalle avanguardie hanno portano allo scontro cruento. La Rivoluzione Francese ha dato luogo al Terrore. Durante e dopo la Prima Guerra abbiamo avuto la Rivoluzione Bolscevica, poi il Fascismo, e, infine, il Nazismo. Si può anche uscire da una grande crisi come quella degli anni Trenta senza rivouzione, a condizione di “cambiare per conservare”. Cambiare la politica fiscale per conservare l'Ordine liberale, proprio coe avvenuto con il New Deal. Altrimenti detto, si può avere una “Rivoluzione senza i Rivoluzionari”, se si evitano le avanguardie politiche, e si procede alla risoluzione dei problemi con le "tecnocrazie illuminate".
Su questo: Geoff Mann, In the Long Run We All are Dead, 2017, Verso, da pagina 217 a pagina 278.
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2 – La protezione sociale (in un contesto statico e in uno dinamico)
Si parla del reddito di cittadinanza "incondizionato", laddove non si trova in questa proposta né l'idea liberale dell'eguaglianza dei punti di partenza, né quella socialista dell'eguaglianza dei punti di arrivo. Si ha, infatti, una sorta di semi-eguaglianza delle condizioni di vita iniziali e finali. In questo caso, il reddito di cittadinanza incondizionato è quel reddito che si riceve dallo Stato “perché si è”. Abbiamo così un corrispettivo dello “ius sanguinis”. (Il complesso dei servizi che lo Stato Sociale già offre ai cittadini in quanto tali è una erogazione di servizi – e quindi un reddito indiretto - ma non un reddito che il ricevente può spendere come crede - quindi diretto). Si parla anche del reddito di cittadinanza che viene dato solo a chi ne ha davvero bisogno. In questo caso, si ha un reddito “condizionato”. Il reddito condizionato è erogato solo se si accetta uno dei lavori che lo Stato si procura di offrire, ossia non è “per sempre”. (Esiste – come nel caso dei servizi dello Stato Sociale rispetto al reddito di cittadinanza "incondizionato" - già un reddito di questo tipo e ha il nome di "reddito di inclusione").
Immaginiamo che la disoccupazione si crei non solo – come visto nel primo paragrafo - per la carenza di domanda di investimenti, ma anche per il mutamento delle tecnologie. Si avranno le imprese che falliscono sostituite da quelle che innovano. Si avranno gli occupati delle imprese fallite che vanno da quelle che innovano.
Immaginiamo come esempio un mondo dove: 1) le candele sono sostituite dalle lampadine; 2) con imprese delle candele che producono solo quel che serve per soffiare sulla torta; 3) dove le imprese delle lampadine conquistano il mercato dell'illuminazione; 4) con quasi tutti gli occupati delle candele che passano a produrre lampadine. Se immaginiamo che 5) tutto quanto appena descritto avvenga quasi in tempo reale, e che 6) le competenze richieste siano circa le stesse, allora saremmo in un universo dove tutto funziona con il Mercato che non lascia spazio allo Stato. L'unica disoccupazione presente in questo sistema sarebbe quella “frizionale”, ossia quella che si forma giusto per il tempo necessario per passare da un'occupazione ad un'altra. Se però 1) le imprese che producono lampadine non occupassero i fuoriusciti delle imprese delle candele, perché richiedono delle competenze diverse, 2) e/o se la dislocazione geografica fosse marcata, ossia se i produttori di lampadine fossero a migliaia di chilometri da dove stavano le imprese delle candele, ecco che si avrebbe una crescita della disoccupazione non “frizionale”.
Chi è disoccupato a causa della dinamicità dell'economia potrebbe usare il diritto di voto che - dalla Seconda Guerra è “universale” - per chiedere un reddito non guadagnato lavorando, oppure per fermare la dinamica della tecnologia. E lo potrebbe usare perché vi sarebbe un'offerta politica che dichiara di voler difendere chi è rimasto fuori dallo sviluppo.
Proviamo a vedere gli impatti del mutamento tecnologico sull'occupazione qualificata (1 --), sulla concentrazione dei redditi (2--), e, infine, sulla caduta di alcune delle distinzioni sociali (3--)..
1 – il Luddismo è evocato di frequente come l'emblema della rivolta contro le nuove tecnologie. Nella fattispecie i luddisti distruggevano i telai automatici che, a cavallo del XIX secolo, annullavano il fabbisogno di manodopera qualificata. I Luddisti non erano contrari alle macchine, ma alle macchine che erano all'origine della manodopera qualificata in esubero. Il fenomeno recente di Uber ricorda il fenomeno antico del Luddismo. I tassisti non sono contro le automobili, ma contro un uso delle stesse che, se portato avanti, riduce il numero di conducenti con licenza ufficiale, quindi, come nel Luddismo, annulla il fabbisogno di manodopera qualificata.
2 – la riproducibilità tecnica – in origine grammofoni e dischi che consentivano di trasmettere la musica – permette a chiunque stia fuori dalle città con i teatri famosi di ascoltare i musicisti maggiori stando comodamente seduto a casa. Non si aveva più ragione, come in passato, di ascoltare, per mancanza di alternative, solo i musicisti minori, quelli che giravano per la provincia. Si hanno così tre fenomeni: i musicisti maggiori hanno dei redditi molto alti, perché incassano i diritti su milioni di copie; ai musicisti minori restano i matrimoni e le feste di paese; il consumatore ascolta la musica degli artisti maggiori come non avrebbe mai potuto, tenendo conto dei costi.
3 -- le lavandaie che a Milano lavoravano, fino a non troppo tempo fa, inginocchiate lungo il Naviglio, e i lavandai e le lavandaie di Mumbai che vivevano chiusi a vita a lavare panni in una sorta di stadio di medie dimensioni da cui non uscivano mai, sono stati “liberati” dalle lavatrici. Non proprio loro forse, ma i loro figli e le loro figlie. Sempre in tema di elettrodomestici, la lavatrice, la lavastoviglie, l'aspirapolvere, hanno consentito di avere a disposizione della “servitù” anche a chi non avrebbe mai potuto permettersela. Certo un aspirapolvere non può sostituire un cameriere impettito, perché esso è solo un oggetto inanimato che - come tale - non marca la “distanza sociale”, ma ha ampliato il tempo libero a disposizione dei meno abbienti.
3 – Questa volta è diverso?
Anche in passato le macchine mettevano fuori mercato i lavoratori, ma, dopo qualche tempo, i nuovi settori occupavano i lavoratori dismessi. Perché mai non dovrebbe accadere di nuovo? In passato gli artigiani furono sostituiti dagli operai non qualificati – contadini in origine - che potevano produrre i beni grazie alla scomposizione del lavoro in poche e semplici attività, il cui apprendimento non richiedeva molto tempo.
Anche assumendo che – come accaduto in passato - la disoccupazione sia assorbita nei nuovi settori resta aperta la questione di quanto tempo sia necessario per occupare i lavoratori "dismessi" dai vecchi settori. Sembra inoltre che per il futuro i lavori richiesti saranno sia quelli apicali sia quelli meno qualificati (gli ingegneri e le badanti), mentre i lavori che sono nel mezzo (i ragionieri) saranno sostituiti dalle macchine.
Siamo giunti al “malessere del ceto medio”.I sistemi politici ottocenteschi non dovevano catturare il consenso delle “larghe masse”. Oggi sì. Ed è qui il punto. Come gli imprenditori economici cercano di vendere i propri prodotti ai consumatori, così gli imprenditori politici cercano i voti degli elettori. I consumatori e gli elettori decidono il successo degli imprenditori - il consumatore come l'elettore è “sovrano” - ma sono passivi, perché comprano l'offerta che non è concepita né portata avanti da loro. Ossia essi sono sovrani, ma di “ultima istanza”.
Se questo è il punto – una disoccupazione persistente o crescente a seconda delle ipotesi che si fanno in presenza del diritto di voto universale – allora il potere politico sarà tentato dall'intervenire. I politici potrebbero anche offrire una politica che freni la diffusione dell'innovazione che riduce il peso dei lavori “cerebrali” meno qualificati. (A proposito delle innovazioni che vengono frenate o eliminate.L'inventore di un nuovo modo per trasportare le colonne pesanti fino al Campidoglio lo propone all'imperatore Vespasiano, il quale proibisce l'uso delle nuove tecnologie perché quelle vecchie erano - a differenza di quelle nuove - ad alta intensità di lavoro).
Link:
3 – Walter Scheidel, The Great Leveler, Violence and the History of Inequality, 2017, Princeton
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