Nel processo di formazione del primo governo della XVIII legislatura sono dibattute delle proposte. Inauguriamo la rubrica che discute le proposte controverse. Incominciamo con l'idea di incrementare il deficit e quindi il debito per rilanciare l'economia, e con l'idea di portare il debito pubblico sotto controllo anche grazie al condono della banca centrale..

1 - Quale politica fiscale

L'idea che un debito pubblico eccessivo non vada bene è condivisa, perché il gran debito impedisce alla spesa pubblica di muoversi come dovrebbe: invece di verniciare le scuole materne, ecco che paga gli interessi sul debito. Se ammettiamo che questo sia vero – ossia che un debito eccessivo (si noti: non il debito per se) vada evitato, allora chiediamoci in quali modi il debito pubblico possa essere messo sotto controllo.

Il debito pubblico – più precisamente il Debito/PIL - può essere messo sotto controllo in quattro modi (con una variante). SI ha anche un quinto modo che sarà discusso poi.

1- grazie all'inflazione. Il debito è rimborsato alla pari, e quindi per l'ammontare pattuito (cedole e capitale) prima che ci fosse l'inflazione. Le entrate dello stato con l'inflazione però aumentano, perciò l'onere da interesse si contrae, come quota delle entrate fiscali. Lo stato rimborsa tutto, ma in una moneta svalutata. Una opzione che è stata usata dopo la Seconda Guerra in Italia.

2 - dichiarandosi insolventi (il famigerato default). In questo caso le cedole non sono pagate ed il debito non è rimborsato, ma prima che lo stato possa ripresentarsi sui mercati passano molti anni, perché la sua reputazione è crollata. In Italia non è mai accaduto.

3 - con una patrimoniale. Questa c'è già stata, e negli ultimi anni si è manifestata con le maggiori imposte sulle abitazioni (poi riviste nella direzione della loro riduzione) e sulle attività finanziarie.

4 - con un bilancio dello stato in avanzo prima di pagare gli interessi. Se l'avanzo – detto primario – è pari all'onere da interessi non sono più emesse obbligazioni, perché il bilancio è in pareggio. Il numeratore – il debito – non cresce, mentre cresce il denominatore, il PIL. In questo modo il Debito/PIL scende. In Italia era la scelta in corso, quella del “pareggio di bilancio” tendenziale.

4 bis - La variante della quarta modalità è il consolidamento. Il Tesoro paga le cedole, ma non rimborsa il capitale, e quindi non si trova in condizione di debolezza quando va alle aste. Naturalmente, il bilancio pubblico deve essere in pareggio, qualunque cosa accada, perché non possono essere emesse nuove obbligazioni. Questa fu la scelta fra le Guerre Mondiali, e smise di funzionare con il finanziamento della Seconda guerra.

5 – Facendosi condonare parte del debito dalla banca centrale. Su questo si veda il paragrafo finale. Per ora saltiamo la discussione di questa opzione.

Fino ad oggi la scelta in Italia è stata la quarta, senza che vi sia alcun sentore della sua variante. La prima è impossibile da attuare, da quando si ha la Banca centrale in comune. La seconda non è pensabile in un contesto di mercati aperti (nazionale e internazionali). La terza ha fatto il suo tempo (ed è stata parzialmente attuata).

La scelta di avere un bilancio pubblico in avanzo (saldo primario positivo) prima di pagare gli interessi si presta a due considerazioni. Che cosa succede se il saldo primario non copre interamente l'onere da interessi e che cosa succede se lo copre. Nel primo caso, il disavanzo deve comunque restare entro il 3% - i vincoli di Maastricht, nel secondo – il vincolo costituzionale del pareggio di bilancio, il debito pubblico si riduce automaticamente nel corso del tempo.

Si ha chi vuole che si continui con le politiche di austerità fiscale, e chi pensa che queste vadano interrotte. Il dibattito mette insieme proposizioni teoriche, critiche sui risultati delle ricerche empiriche, nodi politici.

Qual è l'architettura degli “austeri”, quelli che prediligono il “Fiscal Compact” (FC), e quella degli altri che prediligono il “Fiscal Growth” (FG).

Il FC è l'idea che i saldi del bilancio pubblico vadano portati in pareggio (quasi) in qualsiasi contesto economico. A saldi fra uscite e entrate pari a zero (ossia con deficit di bilancio nulli) il debito pubblico non è più emesso. A quel punto, il debito non può che decrescere il rapporto all'andamento dell'economia (come misurata dal PIL), perché questa, per quanto possa crescere poco, alla fine cresce. Per rendere credibile il “vincolo di bilancio” (i deficit nulli), esso va accolto come regola costituzionale.

I seguaci del FC sostengono che, una volta che i debiti pubblici non crescano più, torna “la fiducia”. Come fa a tornare la fiducia? Secondo questo schema: 1) i cittadini tendono a spalmare i propri consumi nel tempo, se hanno un reddito maggiore (della media del proprio reddito) spendono meno e risparmiano, mentre, se hanno un reddito inferiore, spendono di più e de-cumulano il risparmio. 2) se sospettano che il maggior debito pubblico in futuro – per essere ripagato - “comanderà” più imposte, ecco che spenderanno meno oggi. Se, invece, prevedono che le imposte saranno inferiori, perché i debiti pubblici saranno sotto controllo, ecco che oggi spenderanno di più.

Il FG è l'idea del rilancio dell'economia attraverso una politica fiscale attiva – ossia con il deficit pubblico finanziato con l'emissione di debito. Si parte dall'assunto che la compressione della domanda di origine pubblica e il rialzo delle imposte - in assenza di un livello adeguato di consumi e investimenti del settore privato – possa spingere l'economia nella trappola della mancanza di crescita. L'altro assunto è che non si sa se un debito pubblico cospicuo sia o meno un freno alla crescita; potrebbe, infatti, essere vero il contrario, ossia che è la modesta crescita ad alimentare il debito. Perciò l'emissione di nuovo debito porta la crescita, che consente di mettere sotto controllo il debito. In altre parole, si ha il paradosso che è il debito a scacciare il debito.

Attenzione, la gran spesa pubblica in deficit per sé non porta automaticamente ad una grande crescita. La spesa pubblica in deficit funziona, infatti, solo sotto certe condizioni.

L'espansione dell'economia (purché sia in partenza depressa, ossia con una sotto occupazione degli impianti e della manodopera) attraverso un maggior deficit pubblico senza per questo avere un aumento del debito pubblico (in percentuale del PIL) è possibile. Ciò avviene se il deficit pubblico alimenta la domanda aggregata per una somma maggiore della spesa iniziale in deficit (ossia, se il moltiplicatore della spesa è significativo), a condizione che il costo del debito sia inferiore al tasso di crescita dell'economia. Si assume perciò che la politica monetaria sia fuori gioco, ossia che i tassi stiano per qualche tempo molto bassi.

Nel caso del FC sono troppe le assunzioni che debbono incastrarsi per avere un ritorno non troppo distante nel tempo dei frutti della fiducia. Nel caso del FG i numeri non “girano” molto facilmente. La politica però preme, ed ha dei tempi stretti rispetto a un dibattito economico che convinca tutti. Si deve perciò cercare una soluzione “pratica”.

Si hanno davvero dei deficit e dei debiti che vengono e vanno a seconda delle necessità? Ammettiamo che nei tempi delle “vacche magre” i deficit e l'emissione del debito aiutino a uscire dalla crisi. Una volta che sia usciti dalla crisi, vale a dire quando tornano le “vacche grasse”, il bilancio pubblico in surplus mangia il debito emesso in precedenza, e si torna al punto di partenza, oppure no? Ossia, il debito arriva e poi va via, e dunque nel lungo termine non cresce mai, oppure no?

Chi più chi meno, tutti i paesi sviluppati non riescono a contenere i deficit e ad evitare di accumulare debito. La crescita perpetua del debito è, infatti, il luogo dove si materializza la ricerca del consenso. Il gran debito pubblico che si è cumulato e che non si riesce a ridurre è un punto molto delicato. Negli ultimi anni esso è cresciuto molto, ma esso costa molto meno di quanto sia mai costato in passato.

Un costo così compresso, a meno di durare per decenni, è molto pericoloso. Che cosa accadrebbe, infatti, se si alzasse? Il costo del debito pubblico emergerebbe, e il bilancio pubblico si troverebbe a dover pagare degli oneri da interesse molto alti, come è accaduto in Italia prima dell'adesione all'euro, quando il debito costava il 10 per cento del PIL.

Il che implica per il bilancio pubblico il dover ridurre la spesa negli altri ambiti, a meno di spingere i percettori di cedole verso l'eutanasia. Da qui il bivio: con dei rendimenti normali e un gran debito pubblico o si taglia la spesa pubblica per pagare gli oneri finanziari, oppure si comprimono gli oneri finanziari - la cosiddetta “repressione finanziaria”, che è l'imposizione ai fondi pensione, alle assicurazioni, e alle banche di quote di titoli pubblici con rendimenti bassi.

Alla fine qualcuno pagherà i costi dell'aggiustamento dei bilanci pubblici. Nel Secondo Dopoguerra la combinazione di una grande crescita ha consentito di mettere sotto controllo i debiti pubblici. La gran crescita del Secondo Dopoguerra è oggi improbabile. Perciò chi pagherà di più o di meno sarà deciso nell'arena politica: i cittadini come fruitori di servizi pubblici ridotti e/o i cittadini con maggiori imposte e/o i cittadini come sottoscrittori di obbligazioni che rendono meno del tasso di inflazione.

2 – Il condono del debito

Il "condono" di una parte del debito pubblico detenuto da una banca centrale può (improbabilmente) avvenire in seguito ad una richiesta di un governo. Chiedere una remissione del debito del dieci per cento (la cifra che circola in Italia) ha delle conseguenze negative sul rimanente novanta per cento che resta quotato. Inoltre, se si ha del nuovo debito in emissione, la remissione di parte del debito emesso peserebbe negativamente sul nuovo debito, perché verrebbe meno la fiducia in un governo che chiede condoni perché incapace di controllare il bilancio.

Ma andiamo in profondità. Nel caso del bilancio di una banca centrale si ha da una parte l'attività (principale) che è il debito pubblico e dall'altra la passività (principale) che è la moneta emessa. Ergo, la moneta è una passività garantita dall'attività maggiore che è il debito pubblico nel bilancio della banca centrale, debito (si noti) che è stato acquistato emettendo moneta. Se la banca centrale condona (ossia cancella) una parte del debito italiano, che è un'attività della banca centrale medesima, ecco che una parte della moneta, che è una passività della banca centrale medesima, si troverebbe “sospesa nel vuoto”. L'attivo e il passivo debbono essere eguali, e dunque si dovrebbe avere un intervento del Tesoro per coprire la perdita dovuta al condono, se questo, come probabile, fosse maggiore del capitale di rischio della banca centrale. Intervento del Tesoro che avverrebbe … emettendo obbligazioni. E saremmo daccapo.

Per approfondire:

https://www.youtube.com/watch?v=yfG4E1W7F0U&feature=youtu.be&a=