Il comunicato della Commissione Europea riguardante il recente accordo in sede Ecofin sull’unione bancaria (http://ec.europa.eu/internal_market/bank/crisis_management/) è stato ovviamente oggetto di particolare attenzione, rappresentando un passaggio significativo su un tema che influenza non poco gli equilibri politici e finanziari dell’Unione Europea. Gli aspetti rilevanti sembrano essere due: a) l’adozione del principio del bail-in e b) il ruolo delle banche centrali.

a) Adottare il principio del bail-in, come accaduto nel salvataggio delle banche cipriote, significa polverizzare il rischio di fallimento di una banca tra i detentori privati di azioni, obbligazioni e depositi sopra i 100.000 euro (cosiddetti Shareholders-SH e Stakeholders-ST). Sono esclusi i contribuenti, ovvero l’intervento delle finanze pubbliche, oltre ai depositanti al di sotto dei 100.000 euro, i fondi dei dipendenti, le emissioni obbligazionarie garantite dai mutui ipotecari e altre passività con scadenza cortissima (7 giorni). L’intervento istituzionale è previsto (per un massimo del 5% delle passività) da parte di un organismo preposto sovranazionale (ESM, European Stability Mechanism) dopo che gli SH-ST sono intervenuti coprendo fino all’8% delle passività totali.

Da questo punto di vista si riafferma non solo il principio del rigore nella gestione delle finanze pubbliche e private ma si tenta di evitare ulteriori aggravi per i già sufficientemente crescenti debiti pubblici europei, mutualizzando tra i privati e, in seconda battuta, a livello sovranazionale gli eventuali salvataggi. L’esperienza di questa crisi racconta come i fenomeni dei salvataggi abbiano coinvolto principalmente paesi con rating sul debito pubblico tra i più elevati. Ulteriori salvataggi da parte delle finanze pubbliche (bail-out) potrebbero intaccare il mantenimento di questi livelli.

b) Le banche centrali dei singoli paesi sono chiamate a supervisionare e regolamentare, con elevati gradi di discrezionalità, l’esistenza delle condizioni per eventuali bail-in e l’applicazione della direttiva (subordinata ad approvazione da parte del Parlamento Europeo). La soluzione adottata per Cipro viene sostanzialmente formalizzata ed è presumibile che la strada sia segnata. Nel primo semestre del 2014 verrà effettuato un nuovo stress test per sondare lo stato di salute delle banche. La supervisione, questa volta, sarà responsabilità della BCE (Banca Centrale Europea) e non dell’EBA (European Banking Authority) avendo quest’ultima effettuato verifiche decisamente inadeguate a scongiurare ulteriori fallimenti (Dexia fallì un mese dopo la valutazione positiva dell’EBA, per citare un esempio).

In questa vicenda sono emersi alcuni elementi interessanti relativamente al ruolo delle banche centrali. Volendo andare un po’ fuori dalle righe, la notizia sui derivati in pancia al debito pubblico italiano uscita in coincidenza con la fase acuta della trattativa si è in qualche modo inserita nel dibattito, segnalando una possibile divisione tra i fautori di una maggiore omogeneità a livello europeo nei criteri di definizione e classificazione delle attività rischiose nei bilanci delle banche e nell’attribuzione di maggiori poteri di supervisione alla BCE rispetto ai fautori di un processo più morbido e diluito nel tempo. Peraltro, la maggiore necessità per le banche dei paesi “core” di liquidare attivi a rischio rispetto ai paesi periferici può spiegare una certa riservatezza nella gestione del percorso di riduzione della leva. Nel caso delle banche italiane la maggiore attenzione dovrà essere posta nella gestione del ciclo delle sofferenze e nella loro adeguata copertura.