Proseguiamo sulla questione del risanamento del sistema bancario europeo, passaggio determinante per la stabilizzazione delle economie e dei mercati finanziari. La solita Banca dei Regolamenti Internazionali (BRI con sede a Basilea) ha fatto qualche passo avanti nel tentativo di semplificare i parametri su cui valutare la solidità delle banche. Sembra si faccia sempre più strada la necessità di utilizzare il concetto di leva (Patrimonio Netto/Totale Attivo o viceversa) data la difficoltà nel gestire un sistema informativo basato sugli attivi ponderati (RWA, Risk Weighted Assets), alimentato da circa duecento milioni di variabili, soggetto ad un grado di eccessivo di discrezionalità (sia da parte delle banche centrali nazionali che delle singole banche) e che produce risultati ben poco affidabili.
Le difficoltà incontrate risiedono principalmente nella discrezionalità che le singole banche hanno nel definire la Probabilità di Fallimento (PD, Probability of Default) e le Perdite Derivanti dal Fallimento (LGD, Loss Given Default). Infatti, nei modelli interni delle banche utilizzati per stabilire quanto è rischioso l’attivo (IRB, Internale Rating Based approach) non è tanto significativa la differenza sulla rischiosità degli emittenti, sostanzialmente individuata con il rating o strumenti simili, ma chi può fallire e in che misura. Le differenze (grafico 13, pag.38 http://www.bis.org/publ/bcbs256.pdf) sono sostanziali. Ipotizzando un parametro centrale di patrimonio pari al 10% dei RWA e omogeneizzando il campione, la BRI stima distanze che quasi dimezzano o incrementano del 50% i valori rispetto a quelli dichiarati.
Sebbene la BRI non riesca a offrire una soluzione a queste evidenti distorsioni, ormai da più parti si sta facendo strada l’idea di utilizzare un indicatore, se non alternativo, almeno parallelo come la leva. La Banca d’Inghilterra ha richiesto un minimo del 3% alle banche inglesi segnalando come Barclays e Nationwide siano già al di sotto di questo parametro e richiedendo interventi per il suo rispetto (vendita di attività e/o aumento di capitale o entrambe le cose). Peraltro sappiamo che un indicatore più semplice non è di per sé garanzia di più semplici indicazioni in quanto il tema sul piatto è più complesso dei singoli bilanci e investe la scelta tra due tipologie bancarie distinte, la banca di investimento e la banca commerciale.
Ad oggi il modello di valutazione basato sui RWA ha privilegiato palesemente le banche di investimento a scapito delle banche al dettaglio, essendo le prime ad avere attivi ipertrofici a cui vengono applicate stime di Probabilità di Fallimento o Perdite Derivanti da Fallimento estremamente basse, fornendo risultati erroneamente rassicuranti. Va da sé che cambiare il modello di valutazione del rischio sistemico chiama in causa la definizione di che tipo di modello di banca si ha in mente nella prospettica unione bancaria europea, tema di assoluta pertinenza politica.
Semplificando aspetti fortemente tecnici e dibattuti, le banche di investimento hanno poche sofferenze e molti titoli tossici (chiamati non-core) al contrario delle banche commerciali che hanno pochi titoli tossici e tante sofferenze. Entrambi i modelli sono presumibilmente destinati a sopravvivere anche se il percorso di stabilizzazione ed omogeneizzazione della valutazione del rischio sembra avviarsi faticosamente. Negli Stati Uniti il processo è già in uno stadio avanzato. Ad esempio, Goldman Sachs è oggi molto più banca commerciale e molto meno banca di investimento, soprattutto in termini di regolamentazione, così come l’utilizzo della leva è ormai una prassi consolidata.
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