Il 6 marzo abbiamo registrato una caduta repentina dei mercati azionari. In particolare, se osserviamo quello europeo (dell'area dell'euro e non), balzano agli occhi due andamenti. Il mercato era appena tornato dov'era prima della crisi (la parte in alto del grafico), e ha registrato una caduta repentina (ROC=rate of change) dopo mesi che oscillava poco (la parte in basso del grafico). Una caduta della magnitudine delle flessioni che si avevano nel periodo di crisi.
Si può subito pensare all'origine della flessione ci sia il timore che la crisi greca possa riaprire un periodo di tensione. In questo caso, però, avremmo dovuto registrare - nel campo delle obbligazioni emesse dai Tesori – nello stesso giorno anche un forte rialzo dei differenziali di interesse (gli spread) e dei contratti che assicurano contro l'insolvenza (i Credit Default Swap). E ciò non è avvenuto. Perciò viene il sospetto che ci sia un malessere che va oltre le vicende della Grecia. I motori per la crescita degli ultimi mesi sono stati l'effetto dirompente della politica monetaria europea, e la crescita dell'economia e degli utili negli Stati Uniti. Questi motori sono - a nostro avviso – diventati meno potenti, come cerchiamo di motivare di seguito. Il nostro sospetto – insomma - è che oggi siamo in un mercato finanziario che non ha più – a differenza degli ultimi tempi - dei motori robusti per crescere.
In Europa senza la manovra della Banca Centrale non avremmo avuto la ripresa dei corsi delle azioni europee e delle obbligazioni italiane. La Banca Centrale Europea ha deciso di accettare allo sconto dei titoli anche di qualità non eccelsa e per un periodo lungo (tre anni). In questo modo le banche possono indebitarsi al'1% e comprare i titoli di stato che rendono molto di più. In questo modo, cade il “premio per il rischio” che si chiede nel caso dello scenario peggiore sul fronte del debito pubblico, e perciò le azioni salgono. L'effetto scioccante della manovra della Banca Centrale Europea si esaurisce una volta che il differenziale fra il costo del denaro e il rendimento dei titoli di stato a breve si sia ridotto. Allora il premio per il rischio, che era già sceso, non scende più. Non cadendo il premio per il rischio, la borsa può salire solo se riparte l'economia, che però è floscia.
Si afferma che gli Stati Uniti, a differenza dell'Europa, crescano abbastanza. A guardar le statistiche non si direbbe. La crescita negli ultimi tempi è, infatti, trainata dalla variazione positiva del magazzino. Si dice poi che gli Stati Uniti abbiano una base fiscale enorme e non sfruttata come si potrebbe per comprimere il deficit pubblico, non molto lontano dal 10%, e quindi la crescita del debito, ormai intorno al 100%. E' vero, ma l'indecisionismo del sistema politico è molto alto. Si è avuta raramente una divaricazione così forte nei programmi fra i Democratici (che vogliono alzare le imposte) e i Repubblicani (che vogliono tagliare le spese). Si dice che le imprese statunitensi abbiano avuto la capacità di produrre dei grandi profitti. Il che è vero, ma questi profitti sono anomali, dipendendo essenzialmente da un monte salari che, negli ultimi anni, non è mai cresciuto. Non si tiene, infine, nel dovuto conto l'importanza delle politiche monetarie non ortodosse (i famigerati Quantitative Easings). Quando queste sono attuate, la borsa sale, quando si stanno esaurendo, scende. E ultimamente non sembra che la Banca Centrale voglia metterne in opera una nuova. Dunque crescita abbastanza moscia, utili già ai massimi storici, e assenza di stimoli monetari.
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