I disastri, naturali o causati dall’uomo, sono un business in crescita. Aon Benfield, il maggior broker riassicurativo del mondo, ha stimato che nel 2012 i disastri sono costati 200 miliardi di dollari - nella classifica in testa c’è l’uragano Sandy in America (65 milioni di dollari) seguito dalla siccità nel mid-west americano (35 milioni). Negli ultimi dieci anni, la media di costi da disastro è stata pari a 187 miliardi, nel 2011 con il terremoto e lo tsunami in Giappone i danni totali sono arrivati a 350 miliardi di dollari. A gennaio, a New Orleans, entrata nell’immaginario collettivo come simbolo del disastro massimo dopo l’uragano Katrina, è stata organizzata una fiera per aziende che si occupano della vita dopo qualche calamità.
E’ quella che gli esperti definiscono la Mad Max Economy, l’insieme di aziende multimiliardarie che entrano in gioco quando le cose vanno veramente male. la Mad Max Economy non è una novità, risale agli anni della Guerra fredda quando ci si aspettava da un momento all’altro l’apocalisse nucleare ma ora si è sviluppata in business nuovi che sono principalmente trainati dagli eventi – una torcia si vende di più quando è prevista una tempesta – ma che vivono molto bene anche in tempi di calma. Perché l’instabilità non è più emergenza, e quasi normalità, come ha raccontato il New York Times nei giorni successivi all’uragano Sandy, l’anno scorso.
I prodotti che fanno parte di questo mercato non sono soltanto quelli di prima necessità o i generatori, per dire, ci sono aziende che fanno cibi che hanno bisogno soltanto dell’acqua per essere commestibili, mentre i kit di sopravvivenza, tra i più disparati, sono andati fortissimo anche quando ci si aspettava la fine del mondo predetta dai Maya.
Non è un caso che in America, dove il business è molto florido, l’industria del disastro sia piena di manager che arrivano dal settore pubblico. Uno dei volti più noti è quello di Tom Ridge, ex governatore della Pennsylvania e il primo ministro della Homeland Security americana: ora è a capo della Ridge Global, una società di consulenza per governi e aziende sull’economia (e la leadership necessaria) dell’emergenza. Ma questa vicinanza pubblico-privato ha fatto sì che anche la politica si attivasse sul fronte dei disastri, e molti fondi sono stati stanziati per gestire a livello governativo alcune emergenze: è un business redditizio, perché lasciarlo soltanto ai privati?
La diatriba è tanto più vera se si pensa che esistono già progetti no global e anticapitalisti anche nella gestione dei disastri che, di per sé, dovrebbe portare alla solidarietà, non all’isolamento. Basta vedere quel che fa un signore di 40 anni di origini polacche a un’ora da Kansas City: un’azienda agricola autosufficiente buona per restare intatti dopo un’apocalisse.
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