La crisi finanziaria si è riverberata sui bilanci degli stati. La crisi espande i deficit pubblici, perché aumentano le uscite statali (come i trasferimenti ai disoccupati), mentre le entrate flettono (il gettito delle imposte si riduce). La crescita del deficit pubblico non è un gran problema fintanto che non è emesso debito per pagare gli interessi. Un’impresa che abbia un margine operativo lordo positivo prima del pagamento degli interessi è, ovviamente, più sana di una che abbia un margine operativo lordo negativo prima del pagamento degli interessi. Come farà, infatti, l’impresa che ha un margine operativo lordo negativo a coprire le perdite? Indebitandosi. E poi, come farà a pagare gli interessi sul debito in essere? Aumentando ancora il debito. Gli Stati Uniti, il Giappone e la Gran Bretagna hanno un deficit pubblico significativo prima di pagare gli interessi. Ossia, sono i paesi messi peggio. L’Europa dell’euro è messa relativamente meglio.
Le famiglie statunitensi nei prossimi anni ridurranno i consumi, e non saranno i tassi a breve e a lungo termine – per quanto bassi – a fermare la spinta a contenere il debito. La leva finanziaria è, infatti, troppo elevata. Per bilanciare la caduta dei consumi privati, al fine di evitare che l’economia si avviti, si espande il deficit pubblico. Solo che lo si espande in maniera pericolosa, ossia si ha un deficit prima del pagamento degli interessi. Gli Stati Uniti debbono importare capitali dal resto del mondo. Chi presta agli Stati Uniti può quindi chiedere rendimenti maggiori per sottoscrivere le nuove obbligazioni. Il costo del debito pubblico può salire e la politica volta a bilanciare lo «sciopero dei consumatori» con la maggior spesa pubblica rischia di non funzionare.
Siamo forse arrivati al dunque. Questa settimana negli Stati Uniti sono offerti circa 200 miliardi di dollari di obbligazioni e si vedrà la reazione dei mercati. Fino a oggi la questione dei debiti pubblici crescenti è stata abbastanza dibattuta, ma senza andare davvero a fondo nelle implicazioni (1). I mercati non ne hanno ancora scontato gli effetti. I rendimenti sui titoli a dieci anni sono intorno al 3,5%, quelli a trent’anni intorno al 4,35%. Vedremo come si muoveranno nelle prossime settimane.
(1) http://www.ft.com/cms/s/0/27e90dea-c23b-11de-be3a-00144feab49a.html
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